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Reddito di cittadinanza, 2,5 milioni di percettori: un 5% di voti che deciderà le elezioni al Sud

Carlantonio Solimene
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L'ultimo rapporto Inps sul reddito di cittadinanza risale al 30 agosto scorso e fotografa i dati di luglio. Ne risulta che attualmente i beneficiari del sussidio sono poco meno di 2,5 milioni di persone. Di queste, 2.170.000 sono cittadini italiani. E circa 1,6 milioni sono maggiorenni. Cioè, con diritto di voto. È da questa cifra che bisogna partire per comprendere come mai il Reddito sia diventato uno dei temi più caldi di questa tornata di Politiche. Perché 1,6 milioni di votanti rappresentano il 3,1% dell'intero corpo elettorale. Ma, in realtà, se si considera la reale affluenza ai seggi il «partitone» del sussidio ha un potenziale vicino al 5%. Destinato a innalzarsi ulteriormente se si allarga l'analisi a tutti i primi sette mesi dell'anno e si considera anche chi ha preso l'assegno solo una volta. Sostanzialmente, un terzo in più di chi lo percepisce attualmente. Si tratta di un popolo capace di incidere profondamente sul risultato finale della sfida di domenica prossima. In special modo al Sud e nelle Isole, dove risiede quasi il 70% dei beneficiari totali. Persone difficilmente disponibili a votare chi in queste settimane ha messo in discussione un assegno che vale mediamente 551 euro al mese per ogni nucleo familiare. Un importo che sale a 682 euro per i nuclei con presenza di minori.

 

 

Certo, il «caro bollette» incide di più sui portafogli degli italiani. Ma non è un «tema divisivo». Tutti i partiti, seppur con ricette diverse, hanno detto di voler contrastare l'impennata dei prezzi dell'energia. Mentre sul Reddito di cittadinanza le differenze sono molto più marcate. C'è chi difende il sussidio senza se e senza ma e vorrebbe addirittura potenziarlo, come i 5 Stelle, che peraltro ne sono gli inventori. Chi apporrebbe solo delle modifiche marginali, come il centrosinistra. Chi propone cambiamenti più sostanziali ma non ne mette in discussione l'esistenza, come Lega e Forza Italia. Chi, infine, ha sdoganato la parola «abolizione», come Fratelli d'Italia, seppur auspicandone la sostituzione con un altro strumento di sostegno al reddito. Un gesto di coraggio o di incoscienza quello di Giorgia Meloni? Lo si scoprirà solo la sera del 25 aprile. Ma a sottolineare come la premier in pectore stia giocando col fuoco è stato un fine conoscitore della politica italiana come Bruno Vespa: «La frase secca e "tremenda" sull'abolizione del sussidio - ha scritto il giornalista - ha trasformato di colpo Fratelli d'Italia in un partito centronordista». Non è un caso che la campagna elettorale del M5S si sia concentrata sul Sud e che il dogma «Meloni contro Reddito» sia diventato la principale cantilena dei big grillini. Ultimo dei quali il presidente della Camera Roberto Fico: «Il rischio di una vittoria di Giorgia Meloni non è il fascismo ma la cancellazione del Reddito di cittadinanza» ha detto ieri.

 

 

Come si tradurrebbe, in termini di seggi, una mobilitazione in massa del popolo del sussidio? Nella quota proporzionale il calcolo è presto fatto: il 5% vale grosso modo tra i 15 e i 20 eletti tra Camera e Senato. Ma è nei collegi uninominali che il dato potrebbe fare la differenza. E, in particolare, in quelli del Sud. Alla vigilia dello stop alla pubblicazione dei sondaggi l'Istituto Cattaneo aveva pubblicato una stima del risultato nelle varie circoscrizione. Le sfide potenzialmente in bilico erano 5 al Senato e una decina alla Camera. Concentrate in particolare in Campania, Puglia e Sardegna. Certo, sarà importante capire se la rimonta grillina fotografata dagli ultimi sondaggi disponibili abbia sottratto voti al Pd o al centrodestra. E se anche la coalizione guidata dalla Meloni perdesse tutte i collegi incerti difficilmente sarebbe messa in discussione la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Ma il successo potrebbe essere meno roboante del previsto. E, a farne le spese, potrebbe essere proprio quella riforma del sussidio che la leader di Fratelli d'Italia ha auspicato.

 

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