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Elezioni 2022, Enrico Letta-Giorgia Meloni: scintille nella sfida elettorale

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Un confronto corretto ma franco e senza esclusione di colpi. Enrico Letta e Giorgia Meloni si sono sfidati su Corriere Tv in quello che - salvo colpi di scena - sarà l’unico faccia a faccia della campagna elettorale e quello che viene fuori è un duello all’insegna del "fair play", tra due avversari che propongono una diversa idea di Italia, ma che comunque si rispettano e hanno il comune obiettivo di legittimare l’altro come unico vero competitor.

Sul look entrambi scelgono di non azzardare:  capelli raccolti a coda di cavallo, camicia verde acqua e orecchini a forma di fiore abbinati per lei, completo blu e cravatta in tinta per lui. Pronti, via. La leader di FdI parte forte ed è lei che riserva il primo attacco - studiato e preciso - al rivale. «A pagina 42 del programma di Sinistra Italiana di Fratoianni c’è scritto che è giusto fermare l’invio di armi a Kiev». Il leader dem si è appena schierato - così come ha sempre fatto - con la resistenza ucraina e para il colpo: «Ogni volta si citerà Fratoianni. Con Fratoianni e Bonelli abbiamo fatto un patto a difesa della Costituzione, un accordo elettorale. Non faremo un Governo - replica - Berlusconi e Salvini hanno sempre avuto rapporti con Putin e sembra che difendano più la sovranità della Russia che la nostra. La sovranità credo che sarebbe molto a rischio se fosse al Governo il centrodestra», contrattacca. Meloni comunque ribadisce il suo sostegno alle sanzioni contro Mosca: quella in Ucraina «è una guerra che riguarda anche noi, può allargarsi, e l’Italia che scappa dalle sue responsabilità pagherebbe questa scelta, sarebbe l’Italia di spaghetti e mandolino», taglia corto.

È sull’Europa, tuttavia, che si registrano le prime scintille: «Non è vero che FdI ha sostenuto il Next generation Eu. È una cosa falsa, FdI non ha mai votato a favore», affonda Letta. Meloni si gioca allora la prima replica: «La posizione di Fdi sul Pnrr è sempre stata la stessa in Europa e in Italia. Non abbiamo mai votato contro, ci siamo astenuti in un passaggio in Europa e in Italia perché il documento è arrivato all’ultimo momento e noi volevamo prima leggerlo, le persone serie fanno così».

I due si trovano poi quasi d’accordo sul dossier energia: sì al price cap sul gas e al disaccoppiamento del prezzo. Freddi entrambi sullo scostamento di bilancio, che finirebbe con il mettere il Paese sotto scacco della speculazione internazionale. Diverse, invece, le ricette sulla gestione dei flussi migratori: bisogna «distinguere tra i profughi che hanno diritto di asilo dai migranti irregolari. Quando c’è stata la sovrapposizione è stato fatto un disastro. Non possiamo farci fare la selezione di ingresso dagli scafisti - sottolinea la leader FdI - L’immigrazione si gestisce con il decreto flussi». «Noto che la parola blocco navale non è stata usata - punge il segretario dem - perché è talmente evidente che è inapplicabile e che il governo di un grande paese europeo non può dire cosa del genere».

Il presidenzialismo resta un tema che divide. «Noi abbiamo proposto il semipresidenzialismo alla francese perché era la proposta uscita dalla Bicamerale D’Alema. Letta dice che vogliamo pieni poteri? Allora Massimo D’Alema voleva pieni poteri? Le riforme si possono fare solo se sono d’accordo loro? Questo tempo credo stia per finire. Discutiamo del tipo di riforma ma la riforma va fatta», avvisa Meloni. «Il nostro Paese ha una Costituzione scritta figlia della resistenza e dell’anti-fascismo. Una costituzione che ha salvato l’Italia per tutti questi anni - replica Letta - Con il sistema che abbiamo oggi Draghi e il governo Draghi hanno funzionato. Io farò di tutto perché la Costituzione non venga mai cambiata». Il segretario Pd, però, propone una riforma sulla giustizia: sì a «un’Alta corte sopra il Csm che faccia un controllo superiore con tutti equilibri e compensazioni» e a un vicepresidente del Csm «nominato su indicazione del presidente della Repubblica».

Anche sui diritti lo scontro si accende. La leader FdI ribadisce il suo no alle adozioni per le coppie omosessuali: «I bambini hanno bisogno di un padre e una madre», argomenta. Letta la interrompe. «No, i bambini hanno bisogno di amore». Meloni non ci sta: «Lo Stato non norma l’amore», contrattacca. «Appunto: tu lo stai normando. Stai decidendo quale è amore e quale non è», conclude il segretario dem. Per il leader del Nazareno il confronto serve poi a ribadire la linea: il voto del 25 settembre «è un bivio, una specie di referendum. Come con Brexit», azzarda. E ancora. «Se vince questa destra ci porterebbe molto lontano dai valori europei. Noi abbiamo detto che il governo Draghi sarebbe stato l’unica e irripetibile esperienza di larghe intese. Da questo voto usciremo o noi o Meloni, Salvini e Berlusconi. Noi non abbiamo alcuna intenzione di aprire altre stagioni di larghe intese. o sarà maggioranza o sarà opposizione», insiste. Meloni, dal canto suo, rassicura sugli alleati: al governo il centrodestra «durerà, lo abbiamo già dimostrato, lo facciamo ottimamente a livello regionale e comunale, stiamo insieme per scelta e non per necessità».

Poi una certezza comune: un Governo di larghe intese con dentro sia il Pd che FdI? «Questo lo escludiamo all’unisono», sentenzia Letta. «Sì, lo escludiamo, sono 4 sì», scherza Meloni.  Pronta arriva la replica di Carlo Calenda, che da giorni insiste per un confronto a quattro e che ha affittato uno studio tv e organizzato un "contro confronto" in differita: «Questo sembra un dibattito tra Sandra e Raimondo senza alcun senso. Non è vero quello che dice Meloni, sono stati contro il Pnrr come contro il Mes», assicura. Matteo Renzi usa la sintesi:  «Meloni o Letta? Io scelgo Draghi».

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