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M5S, Giuseppe Conte l'epurator prova a liberarsi dei “rivali” Raggi e Di Battista

Carlantonio Solimene
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È una campagna elettorale molto particolare quella che si trova a condurre Giuseppe Conte. Che deve guardarsi non solo dagli attacchi degli avversari, ma soprattutto dalle insidie interne. Perché i rapporti con Grillo sono quelli che sono, con il «Garante» che sembra più intenzionato a mettere i bastoni tra le ruote che a tirare la volata al suo «capo politico». E perché, all'orizzonte, c'è sempre l'ombra di due personaggi molto amati dal popolo grillino. E per lo stesso motivo assai temuti da «Giuseppi». Proprio per questo motivo ieri Conte ha provato ad ammansire le velleità di Virginia Raggi e Alessandro Di Battista. In maniera più chiara con la prima, più subdola con il secondo. L'ex sindaca di Roma, ha detto l'avvocato, «come tante altre persone continuerà a lavorare col Movimento: in Comune farà le sue battaglie, a partire dall'inceneritore». Il messaggio è plateale: Virginia sta bene dove sta, in Consiglio comunale in Campidoglio. E si scordi una candidatura in Parlamento che, peraltro, contrasterebbe anche con il tetto dei due mandati, perché l'ex sindaca di Roma, eventualmente, sarebbe già al quarto.

 

 

In quanto a Di Battista, Conte la prende un po' più alla larga: «Ne parleremo - dice se vuole, alla luce della nuova carta dei principi e del nuovo statuto, sicuramente è una persona che può dare un contributo al Movimento. Ma basta parlare di protagonismi, conflitti, gelosie e invidie». Sono diversi i messaggi inviati tra le righe. Il primo è che, se proprio l'ex parlamentare romano vuole tornare dalla Russia per candidarsi con il M5S, deve condividere lo statuto. Che è ricamato intorno a Conte per blindarne il potere e, tra le altre cose, prevede quella «continenza» verbale che poco ha a che fare col linguaggio di Dibba (anche con quello di Grillo, in verità, ma questa è un'altra storia...). Il secondo messaggio riguarda quello «stop ai personalismi» e ai «conflitti». Insomma, il ritorno di Di Battista sarebbe quello di un soldato semplice che dovrebbe fare da catalizzatore di consensi in campagna elettorale ma poi non godrebbe di alcun potere riguardo la linea politica. È tutto da vedere se l'ex deputato accetterà un ruolo così defilato. Insomma, Conte prova a proteggere la sua leadership. E, allo stesso tempo, cerca di strappare a Grillo almeno delle condizioni più favorevoli nella composizione delle liste.

 

 

In discussione c'è un cardine storico del Movimento: l'obbligo di candidarsi nel collegio di residenza. Una regola che, se confermata, significherebbe addio al Parlamento per alcuni dei fedelissimi di Giuseppi, come il ministro Stefano Patuanelli e la vicepresidente Alessandra Todde, che sarebbero costretti a misurarsi nelle regioni del Nord. Dove, di fatto, il Movimento elettoralmente non esiste più. Oggi, intanto, si terrà una riunione dei coordinatori regionali del M5S - regia affidata a Roberta Lombardi, a capo del comitato Enti locali sulle regole per le candidature alle prossime politiche, in attesa del lancio delle «parlamentarie», ovvero la selezione dei candidati dal basso. Le regole di ingaggio per aspiranti deputati e senatori M5S sono in stesura, ma si va verso un allargamento delle maglie, dopo giorni in cui il garante voleva tenere intatte le vecchie regole. Sui capilista, infatti, Non è stato ancora reso noto se alla riunione parteciperà anche Giuseppe Conte. Il quale continua a impostare la sua campagna elettorale prevalentemente sul vittimismo: «Il Pd - accusa - deve assumersi di fronte ai suoi elettori le proprie responsabilità, dovrà spiegare ai suoi elettori perché si è comportato come la Lega o Forza Italia, spingendo fuori il Movimento 5 Stelle. Deve spiegare perché ha abbracciato l'agenda Draghi, deve chiarire perché ha accettato persone, penso a Sinistra Italiana, a Fratoianni, che non hanno mai votato la fiducia a Draghi».

 

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