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Il fallimento del Centro. Da D'Amato a Monti fino a Casini: l'ennesimo flop dell'utopia

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Pietro De Leo
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Ma quant'è bello il racconto della politica quando ci regala il capovolgimento delle pagine, il cambio di copioni e finali inattesi, opposti, ribaltati. Ecco, dunque, la biografia recente de «il centro». Da prateria, brama di conquista di entusiasti coloni, a terra di nessuno. Approdo di una retorica tranquilla, della poetica sul voler edificare un qualcosa mentre gli altri distruggono, il vivaio del linguaggio rassicurante mentre gli altri strepitano e strillano. Ci fu il periodo dei «costruttori», all'inizio dello scorso anno. Già, s' era nel fibrillo del governo Conte 2. E quell'«avvocato del popolo» così ben accomodato nel Palazzo, la pochette e i modi felpati di iperpresentabile, che aveva, nell'incubo del Covid, catalizzato la fiducia degli italiani e oltre (comparve un murale, da qualche parte nel mondo, con la sua frase «torneremo ad abbracciarci»), pareva il candidato ideale a «occupare lo spazio». Lui, che studiò dai preti e peraltro da fuorisede. Lui, pugliese come Aldo Moro. E dunque i «costruttori» furono la truppa reclutata (con gran lavoro di Clemente Mastella) per dare il via a questo grande cammino. La truppa però non bastò, i costruttori politicamente collassarono. Ma il racconto edilizio non si concluse lì, riemergendo nel corso di quest'anno, con l'epica del cantiere.

 

 

C'erano Toti, Calenda, Renzi, Mastella, poi si aggiunse Di Maio, varie ed eventuali. O magari dubbie, tipo Luigi Brugnaro che per un periodo parve voler fare un passo oltre il centrodestra. Non c'è mai stato Mario Draghi, l'oggetto del desiderio, così come non c'era Giancarlo Giorgetti, cui tanti guardavano come prima pietra della valanga del salvinismo, che avrebbe dato linfa al neocentrismo. Comunque impalcature erano tante, con altrettanti capimastro, probabilmente, che non si trovavano d'accordo sulla «Costituente» (ognuno pareva voler fare la propria), ma sull'obiettivo sì: dimostrare che il bipolarismo è morto. Ci torneremo. Intanto basta sapere che su quel cantiere soffiò l'alito del tempo, quello che stringe e spinge l'imprevisto, ossia le elezioni anticipate. Di Maio s' avvicina per primo sotto l'ombrello del Pd. Toti si orienta sulla sua vecchia casa, il centro destra, dove già esiste una nutrita porzione centrista, dall'Udc a Noi con l'Italia a Coraggio Italia. Calenda, dopo soffertissima gestazione, torna a braccetto con i dem, sotto le cui fila fu eletto a Strasburgo nel 2019. E seppellisce in una conferenza stampa vagonate di tweet, di liti, di veleni. Mastella fa una scelta territoriale.

 

 

E Renzi, almeno a ieri, va da solo, confinato dai veti e dai niet altrui. E allora ecco che il centro da Eldorado diventa l'inferno di quelli che restano con il cerino in mano. Il chiasso del cantiere, in poche settimane, seppellito dal silenzio di un luogo abbandonato. E vince, di nuovo il bipolarismo, ora come in tutta la seconda Repubblica. Ci provò Sergio D'Antoni, nel 2001, a seppellire l'assetto dei due blocchi. Gli andò male. Nel 2008 Pierferdinando Casini si salvò, ma non sconvolse più di tanto il quadro politico. Nel 2013 ci fu, invece, Scelta Civica di Monti che pareva la volta buona, salvo poi bucare, con un allure di spocchia e supponenza non proprio approvato dall'elettorato, l'appuntamento elettorale e disintegrarsi tra mille addii, leader compreso. Sarà per la prossima. O forse no.

 

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