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Il grande caos del campo Draghi. Letta vuole escludere Renzi, Calenda chiude a Di Maio

Casini vuole tenere tutti dentro. Ma litigano ogni giorno tra veti incrociati e vecchi rancori

Dario Martini
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L'unico modo per cercare di competere con il centrodestra è una grande coalizione che includa tutti e faccia dimenticare le differenze, i rancori e i veleni degli ultimi mesi. La famosa «area Draghi», un campo larghissimo che al momento non esiste nemmeno sulla carta. E non c'è neppure un nome da spendere per Palazzo Chigi, dal momento che lo stesso Draghi non ha mai espresso pubblicamente la sua disponibilità a mettersi a capo del carrozzone.

 

Pier Ferdinando Casini sa bene che questa è la missione da compiere. Lo ha detto chiaramente al Corriere della Sera: «Le forze che si sono riconosciute nel programma del premier oggi sono chiamate a superare i loro personalismi e a creare un'area ampia di riformismo che vada da Letta a Renzi, da Speranza a Calenda, perché l'emergenza in cui ci troveremo nei prossimi mesi si affronta solo così». L'ex presidente della Camera è consapevole che il nome di Draghi va maneggiato con cautela: «Se c'è uno che credo abbia propensione zero per un impegno diretto in politica è proprio Draghi. Il problema è un altro, è l'agenda di un esecutivo che sino all'ultimo è stato sostenuto da un'insieme di forze omogenee che oggi hanno un'occasione irripetibile». Insomma, bisognerebbe utilizzare la parola «Draghi» senza che Draghi ci metta la faccia.
Tra i nomi che definiscono i confini dell'area politica delineata da Casini non c'è quello di Giuseppe Conte. Dopo ciò che è successo in Senato, Letta ha dovuto rinunciare al M5S. Il segretario del Pd pare essersi ormai convinto che il «campo largo» va ristretto un po' e va spostato al centro.

 

Ciononostante, ieri in Sicilia si sono tenute le primarie dell'area progressista che include proprio Partito democratico e Movimento 5 Stelle.

Una contraddizione che il vicesegretario Dem Peppe Provenzano ha cercato di minimizzare: «Come ha detto il segretario Letta, è una decisione del Pd siciliano, e bisogna distinguere li livello regionale da quello nazionale anche per rispetto delle oltre quarantamila persone che si sono preregistrate». L'alleanza rossogialla è realtà anche in Regione Lazio.

 

In questi casi si fa finta di non vedere cosa si dicono ogni giorno i vertici di Pd e M5S a livello nazionale. Ieri è stata la volta di Conte in un lungo sfogo su Facebook: «È vero, Enrico.

L'Italia è stata tradita quando in Aula il premier e il centrodestra, anziché cogliere l'occasione per approfondire l'agenda sociale presentata dal Movimento 5 Stelle, l'hanno respinta umiliando tutti gli italiani che attendono risposte: basta salari da fame e precarietà per i nostri giovani, buste paga più pesanti per i lavoratori, tutela delle 50mila piccole imprese dell'edilizia a rischio fallimento, lotta all'inquinamento vera e non trivelle e inceneritori. L'agenda Draghi da voi invocata ha ben poco a che fare con i temi della giustizia sociale e della tutela ambientale, che sono stati respinti e umiliati sprezzantemente. Ma adesso non è più tempo di formule e giochi di palazzo. Ora ci sono le elezioni, non voteranno solo i noti commentatori di giornali e talk show che ci attaccano e i protagonisti dei salotti finanziari che ci detestano. Anche chi non conta e chi non ha voce potrà far pesare il proprio giudizio. Noi per loro ci saremo sempre». Il leader pentastellato il giorno prima aveva provato pure a prendere le distanze dalle primarie siciliane: «Ormai la macchina è partita e il Movimento vi prenderà parte. In queste ore però leggo diverse dichiarazioni arroganti da parte del Pd. Non accettiamo la politica dei due forni. Quel che vale a Roma vale a Palermo».

 

Il problema di Letta è essenzialmente algebrico. Ha bisogno di alleati. Non potendo più contare sui voti del M5S (l'ultima Supermedia Agi/YouTrend dà il Movimento al 10,8%) deve trovarne altri da aggiungere ai suoi (il Pd al momento si attesta attorno al 22%). Al momento sembra difficile trovare un'intesa con Renzi. Il segretario di Italia Viva ritiene possibile realizzare quel «polo del buonsenso che serve all'Italia contro chi vorrebbe uscire dall'euro o contro chi, banalmente, ha mandato a casa l'italiano più stimato di tutti». In questa area Draghi vorrebbe infilarsi anche Luigi Di Maio con Insieme peril futuro. Gli scissionisti grillini non piacciono a Carlo Calenda, che ha spiegato: «Non c'è alcuna intenzione da parte di Azione di entrare in cartelli elettorali che vanno dall'estrema sinistra a Di Maio». Ieri, però, l'ex candidato sindaco di Roma ha fatto una parziale retromarcia: «La pregiudiziale - ha detto all'Agi - è per il M5S e per chi non ha votato la fiducia». Tuttavia, «anche se non capisco l'utilità di allargare questa alleanza a Di Maio, capisco che ci sono cose più grandi del trasformismo e delle qualità professionali delle persone». Il leader di Azione invece è pronto a dimenticare i dissapori con Renzi: «Con lui non ho parlato molto ultimamente.

Abbiamo fatto scelte molto diverse. In questo marasma, l'unico criterio è mettere giù delle priorità, ad alcune condizioni». Calenda ha appena accolto a braccia aperte l'ex forzista Andrea Cangini. E spera che a seguirlo sia Maria Stella Gelmini. Mentre deve trovare ancora una collocazione un altro ministro, Renato Brunetta, che come la collega ha detto addio a Silvio Berlusconi. Strada che sarebbe in procinto di prendere anche Mara Carfagna.

 

Per non farsi mancare nulla, il campo è ancora più frastagliato. Deve ancora decidere da che parte stare Giovanni Toti, governatore della Liguria e leader di Italia al centro, anche se è abbastanza evidente dalle critiche mosse a chi ha fatto cadere Draghi, una scelta definita «sconsiderata». Parole che non sono piaciute a Forza Italia, il suo vecchio partito. Il sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè, lo ha definito «un Di Battista un po' sovrappeso che dispensa rancore a piene mani nei confronti di chiunque». Pronta la replica di Toti: «Ormai siamo arrivati al body shaming... Aspetto con ansia le prossime opinioni politiche dell'onorevole Mulè. Visto il livello, sono indeciso tra "Ciccio bomba cannoniere" e "Non mi hai fatto niente faccia di serpente"».

 

Intestarsi le politiche del premier non è semplice. C'è chi ci prova anche dal centrodestra. Per Maurizio Lupi, presidente di Noi con l'Italia, «l'agenda Draghi non è appannaggio del Pd. Concretezza, serietà, persone al centro sono valori del centrodestra».

Letta ormai viene sballottato da ogni lato. Stefano Fassina, deputato di LeU, lo stesso partito del ministro Speranza, boccia l'agenda Draghi perché «non è progressista». Intervistato dal Fatto Quotidiano, ha lanciato un appello ai compagni Dem: «Caro Pd, lascia stare l'illusoria scorciatoia apocalittica dell'area Draghi. Riprendi la rotta progressista per la dignità del lavoro e la conversione ambientale».

In poche parole, non guardare al centro ma a sinistra. Tenere tutti insieme non sarà semplice. Le prossime settimane diranno se lo spettro delle urne fornirà il collante necessario.

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