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Crisi di governo, il premier Draghi si dimette. Ora le elezioni sono più vicine

Daniele Di Mario
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La crisi di governo, tanto temuta e da giorni prevedibile e inevitabile, è realtà. Mario Draghi si dimette. Il presidente del Consiglio rimette il mandato nonostante il suo governo abbia appena ottenuto la fiducia al Senato sul Dl Aiuti ma senza i voti del M5S, che, come aveva annunciato Giuseppe Conte, non partecipa al voto. Un «fatto politico significativo» che induce il premier a concludere che «la maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione» dell’esecutivo. Per Draghi «le condizioni» per andare avanti «non ci sono più». Di qui la decisione di salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni, respinte dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che rinvia il premier alle Camere per parlamentarizzare la crisi. Draghi si presenterà in Parlamento mercoledì. Sei giorni che i sostenitori del Draghi bis (Pd, FI e centristi) useranno per trovare una soluzione alla crisi.

 

IL TENTATIVO DI D’INCÀ
L’Aula del Senato è convocata alle 9.30 per convertire in legge il decreto Aiuti già approvato alla Camera. Mercoledì sera il capo politico del M5S Giuseppe Conte ha ufficializzato che i 5 Stelle non voteranno la fiducia - non partecipando al voto - sul provvedimento perché contrari, nel merito e nel metodo, alla norma sul termovalorizzatore di Roma. Il ministro grillino per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà si fa promotore dell’ultimo tentativo per evitare che il suo partito si ponga fuori dalla maggioranza. In mattinata contatta i capigruppo di maggioranza, proponendo un «patto» che blindi il decreto evitandone la mancata conversione in legge entro il 16 luglio, dietro garanzia che il governo non porrà la fiducia.

Ma la mediazione presenta subito dei punti interrogativi. Draghi è d’accordo? Il ministro garantisce che il premier è stato informato, ma Italia viva esce allo scoperto con il capogruppo Davide Faraone attacca: «È incredibile che D’Incà tratti all’insaputa del premier». Poco dopo è lo stesso Draghi a mettere la pietra tombale: l’unica via è il voto di fiducia, sentenzia il presidente del Consiglio.

PASSA LA FIDUCIA (SENZA M5S)
Intanto in Senato va avanti la discussione generale sul Dl Aiuti, che stanzia circa 23 miliardi a sostegno di famiglie e imprese. Nei corridoi si parla più della scomparsa di Eugenio Scalfari che del voto: è chiaro a tutti che il M5S non voterà e la partita si sposterà da Palazzo Madama verso l’asse Quirinale-Palazzo Chigi. Il senatore Pd Luigi Zanda prende la parola in Aula e spende parole toccanti nel ricordare il fondatore de la Repubblica.

 

Pochi i senatori che hanno voglia di parlare. Qualcuno s’infila alla bouvette passando davanti alla torma di giornalisti avidi d’una mezza verità che non arriva. Il clima è d’attesa e anche il dress code è da rompete le righe: scarpe da ginnastica, sneakers, mocassini da barca senza calzini, abiti di lino. Non ci sono più la grisaglia o il frescolana d’una volta: la moda è cambiata e la politica s’adegua, anche nel modo di aprire una crisi di governo. La maggioranza intanto punta il dito contro i 5 Stelle: «Irresponsabili», è l’accusa ricorrente. La presidente del Senato Casellati intanto parla al cellulare. Il ministro D’Incà prende la parola e a nome del governo pone la fiducia a nome del governo. L’ultimo paradosso: lui e il M5S non la voteranno. Alle 13.20 prende la parola Matteo Renzi. Intervento attesissimo. «Avete superato il limite della dignità - dice - Nulla giustifica la fine del governo in questa situazione. Il premier deve andare avanti perché serve all’Italia». Casini e Quagliariello si alzano per stringergli la mano, il Pd gli tributa un’ovazione. Il leader di Iv apre apertamente al bis di Mario Draghi senza il M5S, ma i banchi del governo sono malinconicamente vuoti: il premier segue i lavoro del Senato da Palazzo Chigi. Circostanza stigmatizzata dal capogruppo di Fratelli d’Italia Ciriani nel suo intervento.

 

Con sfumature diverse, dai leader e capigruppo di maggioranza in Aula arriva la richiesta a Draghi di proseguire. Anche la grillina Mariolina Castellone spiega che il non voto è dettato dalla mancata condivisione del merito e del metodo, ma nulla ha a che fare con il sostegno al governo. Non solo: nessuno dei ministri M5S, né degli altri esponenti del Movimento che fanno parte della squadra di governo, annunciano le dimissioni. Alla fine si vota e l’Aula di Palazzo Madama conferma la fiducia con 172 voti a favore. I 61 senatori del M5S, pur perdendo un altro pezzo - la senatrice Cinzia Leone che passa con Di Maio - si presentano compatti e senza defezioni all’appuntamento e, come preannunciato, non partecipano al voto (15 risultano in missione o in congedo, tra cui il ministro Stefano Patuanelli, e 46 gli assenti ingiustificati). E mentre in Aula è ancora in corso la «chiama», seppur alla fase finale, con la presidente Casellati che non ha ancora letto l’esito della votazione, il presidente del Consiglio lascia palazzo Chigi e sale al Quirinale.

DRAGHI SI DIMETTE
Il premier resta a colloquio con Sergio Mattarella per circa un’ora, poi rientra a Palazzo Chigi per un Consiglio dei ministri lampo che, inizialmente previsto per le 15.15, viene convocato alle 18.15 e comincia verso le 18.40. Dura pochissimo, circa un quarto d’ora. Giusto il tempo di comunicare al governo l’intenzione di rassegnare quelle dimissioni che ormai da un paio d’ore sono nell’aria. Il «patto di fiducia alla base dell’azione del governo non c’è più», dice Draghi ai ministri, annunciando che «questa sera (ieri ndr.) rassegnerò le mie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica». «Le votazioni in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico - dice Draghi rivolgendosi ai ministri che lo ascoltano senza intervenire - la maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più». Il premier conferma quello che aveva già pubblicamente chiarito due giorni fa in conferenza stampa dopo l’incontro con i sindacati: non ci sarà un’altra maggioranza senza i 5 Stelle e non ci sarà un Draghi-bis sostenuto da una maggioranza diversa da quella che ottenne la fiducia nel febbraio del 2021.

«È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo - scandisce Draghi in Cdm - in questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche. Come è evidente dal dibattito e dal voto in Parlamento questo sforzo non è stato sufficiente». Il premier ripete ai ministri che «dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi». Ma queste condizioni, conclude, «oggi non ci sono più». Draghi ringrazia i ministri per «il vostro lavoro, i tanti risultati conseguiti» e conclude rivendicando l’orgoglio per «quello che abbiamo raggiunto, in un momento molto difficile, nell’interesse di tutti gli Italiani». Chiusa la riunione del Cdm, il premier torna al Colle per consegnare al Capo dello Stato le proprie dimissioni.

L’ULTIMA SPERANZA
Il Presidente della Repubblica però non accoglie le dimissioni e ha invita il Presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché - spiega una nota del Quirinale - si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata dopo il voto in Senato. Mattarella rinvia Draghi alle Camere per parlamentarizzare la crisi di governo. Il premier riferirà mercoledì in Parlamento sulla situazione politica. Un’ultima speranza per i sostenitori del Draghi bis, che avranno tempo per tessere la propria tela. «Ora ci sono giorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la fiducia al governo Draghi e l’Italia esca il più rapidamente possibile dal drammatico avvitamento nel quale sta entrando in queste ore», dice il segretario del Pd Enrico Letta. «Mercoledì sarà la giornata decisiva, non oggi. In Parlamento, alla luce del sole, tutte le forze politiche dovranno dire agli italiani cosa intendono fare», commenta il ministro della Cultura, Dario Franceschini. Di diversa opinione la Lega che - spiega una nota di via Bellerio - «è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo ma da settimane Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi No del M5S e delle forzature ideologiche del Pd.

La Lega, unita e compatta, condivide la preoccupazione per le sorti del Paese: è impensabile che l’Italia debba subire settimane di paralisi in un momento drammatico come questo, nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani», conclude il partito di Matteo Salvini.

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