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Resa di Mario Draghi: “Settembre e poi basta, lascio il governo”. La confessione bomba

Arnaldo Magro
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Altro che smentita, quando Mario Draghi varca le porte del Quirinale, nella serata di lunedì, è risoluto. «Ora basta». Lo dice chiaramente al suo braccio destro, l'uomo dalle origini napoletane. Stufo di questi leader partitici, irresponsabili secondo lui, che lo tengono inchiodato senza nulla poter fare, in un momento congiunturale terribile per il Paese. Non bastava l'ennesimo penultimatum di Giuseppe Conte, ci si è messa ora anche Forza Italia a chiedere la verifica di maggioranza. Davvero troppo per l'ex capo della Bce, per colui che è stato chiamato e osannato come la migliore espressione dell'italico prodotto e pensiero. Colui che doveva salvare almeno il salvabile. Convinto di rassegnare le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato, esprime tutto il suo sconcerto a Sergio Mattarella. Che di accettarle però, non vi pensa minimamente. «Devi andare avanti. Almeno fino a settembre». «Ho dato qualcosa a tutti, pure ai 5 Stelle, purché stessero zitti e buoni. Ora ci si mette anche Forza Italia, vuole intestarsi forse la crisi di governo? Lo faccia apertamente dinnanzi ai cittadini». Più il tempo passa e più si accorge che la fiducia degli italiani nei suoi confronti, sta bruscamente calando.

 

 

Conte, Salvini, Berlusconi, il primo a voler mollare questo governo, paradossalmente è proprio Draghi. Un governo che non vedrà la scadenza naturale e che andrà ad elezioni anticipate. Si parla già del 10 ottobre. Perché più nessuno ha interesse nel portare avanti l'esecutivo. Mario Draghi in primis: «Avanti fino a settembre ma non un giorno di più». L'orchestra del Titanic rimase impassibile, composta e elegante, fino a quell'ultima inclinazione della nave. Quel gesto più unico che eroico, si tramanda ancora negli anni. Non si tramanderanno invece le imprese dei nostri parlamentari. Quelli che percependo gli scricchiolii, cercano disperatamente di sopravvivere.

 

 

Vi è l'ex vice ministro milanese dal ciuffo pettinato che si propone «sottobanco» a Di Maio. L'ex giornalista con la barba, che manda decine di sms nella speranza di esser un giorno ricevuto. Vi è la bionda valchiria che in rotta col partito, cerca di affidarsi all'intercessione degli amici degli amici. Minimo comune denominatore, non dispongono che di una manciata di voti personali. Ma non demordono. Le preferenze in politica sono strumento fin troppo sopravvalutato secondo il loro pensiero. L'Imperativo è restare in Parlamento. L'idea di ritrovarsi fuori da Montecitorio non viene contemplata e gli interessi degli italiani sono secondari. Quanto rimpiangono oggigiorno, di aver votato quel demagogico taglio dei parlamentari?

 

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