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M5S, ritirata di Giuseppe Conte: Luigi Di Maio salvo e niente voto sulle armi

Carlantonio Solimene
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Sic transit gloria mundi. L'uomo che aveva il potere di chiudere in casa gli italiani al grido di «stiamo lontani oggi per abbracciarci domani», adesso non riesce neanche a liberarsi dell'antagonista interno in un partitino che alle ultime Amministrative è rimasto ben sotto il 5%. Il Consiglio nazionale riunito in tutta fretta domenica sera con all'ordine del giorno l'espulsione di Luigi Di Maio termina con una nota nella quale non solo non c'è la cacciata, ma ci si limita a un semplice «buffetto» al ministro degli Esteri. «Il Consiglio Nazionale - si legge - confida che cessino queste esternazioni lesive dell'immagine e della credibilità dell'azione politica del M5s». Come dire: caro Luigi, per favore, smettila. E non finisce qui. Perché anche sull'oggetto del contendere - l'invio alle armi all'Ucraina Conte è costretto a una mediazione che più al ribasso non si può. Scompare il no agli aiuti militari a Kiev, resta solo la necessità che il governo si faccia portatore di una «escalation diplomatica» e che il Parlamento sia «maggiormente coinvolto». Certo, il dibattito sul testo finale della risoluzione è ancora aperto e proseguirà stamattina, ma di fatto l'ex premier non pretende più un nuovo voto in Parlamento dopo il Dl Ucraina. Sono tanti i motivi che hanno costretto Conte alla ritirata strategica.

 

 

La carica l'aveva suonata nella mattinata di domenica il vicepresidente Riccardo Ricciardi, con un'intervista in cui aveva prefigurato l'espulsione di Di Maio. La convocazione improvvisa e immediata del Consiglio nazionale aveva in qualche modo dato corpo all'ipotesi. Poi, però, la prudenza ha preso il sopravvento. Perché il fondatore Beppe Grillo, da Genova, ha trasmesso tutta la sua contrarietà a soluzioni così dirompenti. Perché procedere a espulsioni mentre lo statuto è ancora sub iudice a Napoli avrebbe aperto la strada a una velenosa diatriba legale (e d'altronde neanche Vito Petrocelli è stato ancora cacciato). Perché il Collegio dei probiviri che avrebbe dovuto ratificare l'atto è composto da due membri su tre che fanno parte del governo: la ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone e la sottosegretaria all'Istruzione Barbara Floridia. E sarebbe stato piuttosto imbarazzante per loro mettere sotto accusa il ministro degli Esteri. Perché, infine, l'ipotesi dell'espulsione aveva fatto storcere il naso agli unici esponenti non dichiaratamente contiani del Consiglio: Alfonso Bonafede, Chiara Appendino, Mariolina Castellone e Davide Crippa. Gli stessi che avrebbero bloccato la nota conclusiva fino alla fine (è stata diffusa solo intorno alle 15 di ieri) ottenendo che fosse ulteriormente edulcorata rispetto alla versione iniziale. Il round, insomma, va a Di Maio.

 

 

Ma non vuol certo dire che per il ministro degli Esteri si riaprano le porte del Movimento. Ad oggi è assolutamente da escludere che l'ex capo politico possa tornare a candidarsi sotto le insegne pentastellate. Per l'addio è solo questione di tempo, anche se l'approdo è ancora nebuloso. Tanti leader centristi farebbero i ponti d'oro a «Giggino», sebbene lui preferisca un progetto nuovo in chiave progressista-ambientalista. Parole che fanno rima con Giuseppe Sala. Che le strade di Di Maio e del Movimento siano destinate a dividersi, più che la pilatesca nota del Consiglio nazionale, lo dimostrano le durissime parole messe a verbale ieri dall'ex «amico» Roberto Fico: «Ci sentiamo arrabbiati e delusi» ha detto il presidente della Camera. Aggiungendo: «Non c'è nessun Conte contro Di Maio, state sbagliando prospettiva. L'unica cosa che c'è, al massimo, è Di Maio contro Movimento 5 stelle». Che il big napoletano fosse vicino alle posizioni di Conte si sapeva, che attaccasse pubblicamente il compagno di tante battaglie è sorprendente e significativo. Il segnale del distacco irrimediabile è dato dalla risposta di Di Maio, affidata al portavoce Peppe Marici: «Stupiti e stanchi per gli attacchi che diversi esponenti M5S, titolari anche di importanti cariche istituzionali, hanno rivolto al ministro Di Maio, impegnato in questo momento a rappresentare l'Italia all'importante tavolo europeo del Consiglio Affari Esteri». Volano gli stracci.

 

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