Giorgia Meloni e le accuse assurde, il politologo smaschera la sinistra: "Senza leader forte. E attacca quelli degli altri"
L'ondata di odio contro Giorgia Meloni e le prospettive del centrodestra. Il Tempo chiede su tutto questo una chiave di lettura a Luigi Di Gregorio, docente universitario, spin doctor in numerose campagne elettorali e autore di svariate pubblicazioni, tra cui il testo Demopatia.
Professor Di Gregorio, ci risiamo. Puntualmente ogni leader che si piazza in testa del centrodestra subisce uno stillicidio. Riflesso incondizionato della sinistra?
«In parte è fisiologico, il nemico in politica serve sempre. C'è poi da considerare una cosa, guardando alla storia recente della politica italiana: eccezion fatta per Matteo ship forti. Questa caratteristica ha vantaggi e svantaggi: lo svantaggio maggiore è quello di personalizzare lo scontro. È sempre più facile attaccare una persona, il suo privato, la sua storia, i suoi atteggiamenti piuttosto che le sue idee. Poi c'è l'annosa questione che mise in evidenza già Luca Ricolfi nel libro Perché siamo antipatici (2008), che aveva come sottotitolo La sinistra e il complesso dei migliori. Non credo sia cambiato molto da allora».
Però c'è il rischio trascinamento in un derbyinfinito. Come dovrebbe reagire Giorgia Meloni?
«Credo che Giorgia Meloni sia ormai abituata e allenata a queste fiammate di attacchi. Quante volte abbiamo notato, un po' tutti, che lo "spettro fascista" diventa l'argomento principale dei talk show e dei giornali italiani nelle campagne elettorali e poi il giorno dopo le elezioni sparisce? Poi questa volta, in merito al discorso a Marbella, ho letto commenti davvero surreali: "Ha sbagliato a dividere il mondo in SI e NO", "i toni erano troppo accesi", ecc. Ma qualcuno ha mai assistito a un comizio elettorale con toni moderati e senza dividere il mondo in amici e nemici? Se esistesse un comizio così, sarebbe il meno riuscito della storia».
Dagli altri partiti della coalizione, però, non pare esserci grossa partecipazione su ciò che anche i loro leader, in fasi diverse, hanno dovuto subire. Secondo lei questo di cosa è indice?
«Che la coalizione di centrodestra non sia in formissima lo sappiamo (almeno) dal giorno della rielezione di Sergio Mattarella. Ciononostante, potrebbe vincere in 4 capoluoghi di Regione su 4 alle elezioni amministrative in corso. Credo che i prossimi mesi saranno decisivi per capire un po' di cose, in primis il posizionamento e le intenzioni della Lega e di Forza Italia».
Aldilà di questo, vedendo il contesto generale, il centrodestra fatica a trovare un amalgama. Manca un federatore? Chi lo potrebbe fare? Tra i commentatori c'è chi (pensiamo ad esempio Socci su Libero) suggerisce di lanciare una «figura terza» per la premiership.
«Il federatore - e a maggior ragione la figura terza - ha senso quando si hanno partiti lontani su diversi fronti e serve un punto di equilibrio, come era Berlusconi, alleato con la Lega e con Alleanza Nazionale. In quel caso c'erano un partito regionalista e un partito nazionalista da tenere insieme e Berlusconi ha svolto quel ruolo, anche grazie ai numeri di Forza Italia. Oggi non è chiaro se serva un federatore. Serve prima di tutto sedersi intorno a un tavolo e capire se: 1) i valori siano gli stessi e 2) i programmi siano compatibili. Se è così, chi prende più voti è naturalmente il candidato premier della coalizione».