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Roma, Renato Brunetta manda gli 007 da Roberto Gualtieri per risolvere il caos del Dipartimento Urbanistica

Claudio Querques
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Sulla strada del Superbonus 110% c'è una montagna di carta, 160mila faldoni che si spostano da un capannone all'altro, prima da Roma a Pomezia, poi a Nepi, ultima destinazione conosciuta. Progetti, concessioni, licenze edilizie, certificazioni notarili, un archivio itinerante che ad ogni nuovo appalto, quindi in media ogni due anni, trasloca. Risultato: le pratiche spesso sono introvabili, «rischiamo di far perdere i finanziamenti ad utenti che ne avrebbero diritto», ammette un funzionario del Dipartimento di urbanistica. È il Circo Barnum della burocrazia capitolina. Atti che vanno dal 1931 al 1994, spesso indispensabili per ottenere il via libera per la la concessione dei benefici. Decomposti, scomparsi. Un'immensa ragnatela che nel migliore dei casi dilata a dismisura i tempi di attesa di chili richiede e travolge gli uffici. A parlarne pubblicamente è stato lo stesso assessore all'Urbanistica Maurizio Veloccia in un recente convegno, all'Università Roma Tre durante il festival dell'Architettura: «La situazione in questi ultimi mesi è esplosa - ha allargato le braccia Veloccia dinanzi ad una platea di architetti e ingegneri - noi facciamo il possibile, purtroppo però l'unico vincolo per la ditta che si è aggiudicata la gara era non trasferire i fascicoli ad una distanza superiore ai 50 km da Roma». Ed eccoci a Nepi, ben oltre il Grande raccordo anulare. Fino a ieri la città esportava solo rifiuti, ora anche scartoffie. Che fare per risolvere la situazione? L'assessore ha usato la parola «disostruire», termine idraulico che descrive bene l'ingorgo degli uffici ma non abbastanza quello che alcuni dirigenti comunali in camera caritatis raccontano. E cioè, che il continuo via vai delle pratiche lungo le consolari romane ha generato nel tempo una sorta di caos primordiale.

 

 

Pratiche disperse, pratiche non ancora prese in carico, altre illeggibili, altre ancora deteriorate, altre in transito da un capo all'altro della città. È il «Grande Caos» - appunto - dell'Archivio Progetti, per gli addetti ai lavori un totem. Il simbolo del naufragio burocratico. Il girone infernale che avvolge imprese, ingegneri, architetti, geometri e che si ripercuote inevitabilmente sull'economia romana. «Ogni smarrimento - chiarisce un altro dirigente di cui non faremo il nome per non esporlo - va denunciato. Si chiama onere di conservazione: il caso è molto frequente, basta una "maldisposizione", il fascicolo che risulta sul registro ma non è nello scatolone per determinare l'irreperibilità di una pratica. In questi casi l'articolo 9 bis Dpr 380 tutela il cittadino, sposta all'avente diritto la possibilità di autocertificazione». L'iter comporta un certo periodo di tempo, però. E se normalmente la media per ottenere un certificato si aggira intorno ai 9 mesi, il tempo di una gestazione, in questo caso si va ben oltre. L'attuale ditta, inoltre, non è riuscita ancora a catalogare tutte le pile che ha trasferito da Pomezia a Nepi. «Le pratiche sono anche in via del Turismo, via di Decima e via Civiltà del Lavoro - disegna idealmente una mappa il funzionario - un altro dei motivi per cui la ricerca è sempre complicata». C'è anche il caso che tutto vada liscio. Il colpo di fortuna è raro ma capita. Se la domanda è compilata correttamente, se il protocollo coincide, se non si è smarrita nei vari trasferimenti, «noi la chiamiamo "pesca miracolosa", e in 30 giorni arriva il certificato», raccontano nel quartier generale di via Civiltà del Lavoro. Fino a ieri si era parlato di questo Archivio progetti, tecnicamente «morto», per mettere in risalto i 52 km di lunghezza che le pratiche se messe in fila occuperebbero. E per le scuse pubblicate sul sito del Comune dalla dirigente Cinzia Esposito. Ora il problema è un altro. Talmente grave che il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, per vederci chiaro ha inviato negli uffici i suoi ispettori. I quali, nella loro relazione finale hanno usato soprattutto tre parole: carenze, inefficienze, ritardi.

 

 

Una bocciatura senza appello che non tiene conto però di alcune attenuanti. Il Dipartimento di Urbanistica, dopo la cura dimagrante che ha riguardato tutte la PA, è sceso da 500 a 300 unità I 3 rami - pianificazione. Edilizia e periferia - sono stati accorpati in un unico contenitore sotto il peso di un'utenza così importante come quella dei cittadini della Capitale. Una situazione vicina al collasso è d'altronde anche quella che viene descritta nella relazione che i vertici dell'amministrazione hanno inviato a Brunetta per contro dedurre i pesanti rilievi degli ispettori. Viene fuori così l'altra verità. L'Archivio Progetti, con il suo capannone di diecimila metri quadrati, è la punta dell'iceberg ma l'intero apparato capitolino è ormai un colabrodo, fa acqua ovunque. Va da sé che fare un accesso agli atti vuol dire verificare la legittimità degli immobili, risalire alla documentazione esistente, richiedere una dichiarazione asseverata, provare la corrispondenza dei luoghi, tutti passaggi senza i quali l'iter per ottenere mutui e concessioni vari non vanno avanti. Prima ancora che arrivassero gli effetti balsamici del Superbonus 110% la situazione era già critica. Poi sono arrivati i camion della nuova ditta a prelevare i fascicoli ed è ripartita la giostra. Neanche il parlamento europeo che ogni settimana sposta le sue pratiche da Bruxelles a Strasburgo riesce a mettere in fila tanti faldoni caricati sui Tir. La parola d'ordine per uscire da questa situazione paradossale è «smaterializzare». Con il progetto Italia-digitale si è iniziato a informatizzare le pratiche e a coodificarle. E c'è chi sta anche peggio, «all'Ufficio condono e alle affrancazioni i dipendenti si stanno ammalando, sono venuti i medici ci hanno visitato, siamo tutti stressati».

 

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