Salario minimo, Renato Brunetta: "Patuanelli prende abbagli". Cosa dice davvero la direttiva Ue
"Stupisce che sul salario minimo anche bravi colleghi ministri come Stefano Patuanelli prendano un abbaglio dietro l’altro. Patuanelli invoca il salario minimo per legge in Italia senza aver letto, o senza aver capito, il contenuto dell’accordo raggiunto in sede Ue. Innanzitutto la direttiva europea non impone l’introduzione di un salario minimo legale, mentre prevede che gli Stati membri con una copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% debbano istituire un piano d’azione per promuoverla". A dirlo è Renato Brunetta, ministro per la pubblica amministrazione della Repubblica italiana.
"L’Italia è largamente sopra quella soglia. Secondo i dati ufficiali dell’Inps, inoltre, il 97% dei lavoratori rilevati negli Uniemens sono coperti da Ccnl firmati da Cgil, Cisl e Uil. Le altre sigle coprono solo il 3%, e, naturalmente, non si tratta soltanto di contratti 'pirata'. Pensiamo, per esempio, ai contratti di Ugl", si legge nella nota del ministro. "I parametri richiamati da Patuanelli per fissare il salario minimo nei Paesi con una copertura della contrattazione inferiore all’80% (non è ancora chiaro se il testo finale della direttiva si attesterà sul 60% del salario mediano lordo o sul 50% del salario medio lordo nazionale) porterebbero, peraltro, a fissare un salario minimo sotto i 7 euro, enormemente al di sotto di quanto previsto dalla quasi totalità dei nostri Ccnl. In Italia vorrebbe dire spiazzare la contrattazione, con il rischio di vedere molte imprese lasciare il sistema di rappresentanza e la contrattazione collettiva per applicare soltanto la tariffa oraria".
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"Sempre il bravo Patuanelli prende, poi, altri fischi per fiaschi quando confonde un tema sociale importantissimo che riguarda i cosiddetti ‘lavoratori poveri’, quelli sottopagati o coperti da contratti ‘pirata’ – i finti stage, molte partite Iva, il lavoro occasionale, i rider, i camerieri o i commessi pagati in parte in nero – lavoratori di cui il Governo si occuperà con determinazione – con la questione salariale in Italia, che è strutturale: i bassi salari nel nostro Paese dipendono dalla bassa crescita e dalla bassa produttività", scrive Renato Brunetta.
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"C’è poi il caso molto peculiare del lavoro domestico che, non a caso, è molto spesso escluso dalla normativa sul salario minimo nei Paesi in cui esiste. Applicato ai lavoratori domestici, renderebbe, di fatto, impossibile questa spesa per gran parte delle famiglie italiane, alimentando inevitabilmente il lavoro nero. Considerando che già oggi il lavoro domestico registra il 57% di irregolarità, l’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre gli oneri per le famiglie, non certo aumentarli. Avvelenare i pozzi a fini elettorali - conclude il ministro - non difende certamente i lavoratori più deboli. L’Italia ha bisogno di coesione sociale e di un articolato patto per lo sviluppo. Gli slogan populisti hanno fatto il loro tempo”.