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Giustizia, parla Gippy Rubinetti: “Disertare i referendum umilia la democrazia. Non votare è sbagliato"

Pierpaolo La Rosa
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Gippy Rubinetti, consigliere di amministrazione della Fondazione Einaudi e componente del comitato «Sì per la libertà, sì per la giustizia» e avvocato dello studio Grimaldi, è stata intervistata da Il Tempo sui referendum sulla giustizia, il cui voto andrà in scena domenica 12 giugno.

Perché è importante votare sì ai cinque quesiti referendari sulla giustizia?
«Il sì esprime la volontà di una riforma radicale della giustizia penale e ordinamentale. Certamente, i referendum sono uno strumento non adeguato a riformare la giustizia perché tendono a semplificare una materia delicata e complessa che richiederebbe un intervento parlamentare. Tuttavia, se il Parlamento non riesce a decidere, i referendum possono agire da stimolo».

 



Cosa cambierebbe in concreto, nel caso di vittoria dei sì, per la giustizia italiana?
«Questi referendum non sono contro i magistrati, né tantomeno contro la magistratura come istituzione. Al contrario, sono a tutela dello Stato di diritto e dell'equilibrio tra i poteri dello Stato. Il sì ai cinque quesiti ci aiuta a combattere la degenerazione delle correnti, a restituire credibilità alla magistratura, a ottenere una giustizia giusta. La magistratura ha un ruolo molto significativo, se non dominante, nello spazio pubblico: ha nelle proprie mani la libertà e il patrimonio dei cittadini, ma non gode della loro fiducia. È fondamentale che recuperi quella fiducia. La vittoria dei sì darebbe un forte impulso per un profondo rinnovamento».

Come spiega il silenzio che avvolge la consultazione referendaria di domenica prossima?
«Dovrebbe essere interesse di tutte le parti in gioco, politici, magistrati, avvocati, giornalisti, partecipare a un dibattito pubblico per dare agli elettori la possibilità di informarsi, di approfondire e quindi di esprimere un voto consapevole. La giustizia riguarda ognuno di noi e ci tocca, può toccarci, da vicino. È un errore pensare sia un concetto astratto, rispetto al quale si può non prendere una posizione. A prescindere dall'esito delle votazioni, la mancata partecipazione popolare rappresenterebbe una sconfitta per la salute della nostra democrazia».

 



Cosa ne pensa della riforma Cartabia?
«La ministra Cartabia sta facendo, in poco tempo, un grande lavoro per ottemperare alle richieste dell'Europa sul fronte non solo della giustizia penale e ordinamentale, ma anche civile e fallimentare. L'introduzione dell'ufficio del processo renderà più efficiente la macchina giudiziaria e ridurrà i tempi del processo. Con particolare riferimento alla riforma del Csm, come ha detto la ministra stessa, è ineludibile, non solo per la scadenza imminente del Consiglio superiore della magistratura in carica che non è immaginabile venga rieletto con la legge vigente, ma anche per restituire alla magistratura la credibilità e il prestigio che ha progressivamente perso negli anni. È comprensibile che una maggioranza larga ed eterogenea come quella che sostiene il governo Draghi abbia incontrato difficoltà a trovare un minimo denominatore comune. I referendum possono essere un efficace strumento di sollecitazione del Parlamento a intervenire in modo organico e strutturale nel solco della riforma Cartabia. E, perché no, si potrebbe pensare a una nuova fase costituente. La Fondazione Luigi Einaudi, attraverso un disegno di legge costituzionale, ha formulato una proposta in tal senso».

 

 

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