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Mario Draghi, i partitini e la corte al premier per salvare qualche poltrona

Pietro De Leo
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Ora si chiama «area Draghi». Maquillage semantico ad indicare un centro con un minimo di potenziale elettorale. Il tema balla da quando è iniziata l'esperienza di governo di unità nazionale e ieri, in un'intervista al Corriere della Sera, Renzi l'ha rilanciato. «C'è uno spazio che può salvare il Paese», ha detto il leader di Italia Viva. «È l'area Draghi, oggi, in Italia, ed è l'area Macron in Francia. È uno spazio che esiste. Non dare a questo spazio una casa e un tetto per mere ragioni di egocentrismo personale sarebbe folle e da irresponsabili. I prossimi mesi mostreranno chi è in grado di fare politica e chi, invece vive di inspiegabili risentimenti, anche in questo centro riformista. Noi ci siamo con umiltà e determinazione».

Un mini manifesto politico che contiene, insieme, obiettivi e difficoltà. Evocare il nome del Presidente del Consiglio è il brand che racchiude un valore aggiunto e qualche controindicazione. Il valore aggiunto è sicuramente ciò che la sua figura incarna: la centralità della competenza e di una politica che sia orientata alla realizzazione del proprio mandato (opportuno andarsi a rileggere quanto affermato da Draghi commemorando l'economista Alberto Alesina). Un rinnovato protagonismo internazionale, anche.

La controindicazione, però, è la luna di miele via via svanita, sia con il Paese sia con la stessa politica. Dopo ben dieci mesi sull'onda di una specie di incontestabilità, il passaggio dell'ultima Manovra alle Camere segnò una prima faglia nel confronto con le forze politiche, poi allargata quando le aspettative del premier di salire al Colle furono mortificate. Ciò, però, non ne ha scalfito centralità, non solo attuale (dato ovvio, essendo a Palazzo Chigi), ma anche in prospettiva. Basti pensare alla ricerca di Goldman Sachs che ha messo in allarme circa la sostenibilità del debito nel caso in cui nel nostro Paese le elezioni dovessero portare ad una discontinuità del quadro politico. Da lì, dunque, il tema centrista è diventato dirompente.

E qui si torna sulle difficoltà evocate da Renzi. Quando l'ex rottamatore stigmatizza gli egocentrismi, sottolinea la sembianza di un arcipelago che annovera un gruppo di formazioni politiche finora non in grado di avviare un solido dialogo per un percorso comune. Oltre a Italia Viva, ci sono Azione di Calenda con +Europa, Italia al Centro di Giovanni Toti e Gaetano Quagliariello (che hanno separato le strade, per quanto i gruppi parlamentari siano ancora uniti, da Coraggio Italia di Luigi Bugnaro che al momento non pare molto orientato al progetto centrista). Volendo anche «Noi di centro», movimento lanciato da Clemente Mastella che proprio a Renzi, qualche giorno fa, ha rivolto un appello. Questo è quel che c'è in campo, con un grande punto interrogativo su quella parte di Forza Italia che si riconosce nei tre ministri azzurri.

L'entità di questo arcipelago, però, definisce il suo limite: sono tutti soggetti politici nati da scissioni, e in caso di miracoloso primo passo verso un percorso condiviso, la grande sfida sarà convincere gli elettori che non si tratta della sommatoria di realtà che da sole non potrebbero sopravvivere. Senza contare, poi, l'altro freno, la legge elettorale: un progetto del genere potrebbe essere competitivo soltanto in una logica proporzionale.

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