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L'Europa fa la maestrina, ma dà il cattivo esempio: è in ritardo sulle sue riforme

Pietro De Leo
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E adesso proviamo noi a tirar giù un breve prontuario di tutti i ritardi, gli incagli, gli obiettivi falliti dell'Ue, alla luce dell'ennesima pubblicazione di raccomandazioni sull'Italia che puntano il mirino sul patrimonio immobiliare degli italiani. Alla luce del riaffiorare delle litanie del «ce lo chiede l'Europa» sul Pnrr. Premessa: mai come oggi ci sarebbe bisogno di un processo di integrazione strutturato ed efficace. Invece la crisi russo-ucraina è l'ennesimo passaggio che, invece di rilanciarlo, rischia di comprometterlo. Se si esclude l'iniziale sintonia sull'invio armi, l'applicazione delle sanzioni e l'accoglienza ai rifugiati che scappano dalla guerra (che fece plaudire alla conversione dei cattivoni di Visegrad al verbo dell'immigrazione), man mano sono emerse tutte le criticità.

SANZIONI E RUBLI - Sulle sanzioni, ad esempio. Non c'è ancora accordo sullo stop al petrolio e al gas russo. Così come c'è pieno avvitamento sulla questione del doppio conto, in euro e in rubli, per l'acquisto del gas, così come stabilito da un decreto del Cremlino. A Bruxelles sono rimasti impantanati per settimane sull'interpretazione della norma, nel frattempo le aziende del comparto energetico (pare circa la metà del totale, tra cui l'Eni) hanno attivato questa modalità. Nulla di più prevedibile. Sul dossier energetico, infatti, l'Unione si è dimostrata in ritardo. Contrariamente agli intendimenti iniziali, niente tetto al prezzo del gas, per bloccare le speculazioni. Niente iniziativa della governance comunitaria di acquirente unico, per avere maggiore potere negoziale verso i fornitori. Ma tutto è stato lasciato alle iniziative dei singoli stati. Eccetto l'accordo per l'acquisto di gas liquido dagli Stati Uniti, per un ammontare di appena 15 miliardi di metri cubi a fronte di 155 totali acquistati dalla Russia. In pratica, un'inezia.

 

 

CONTRASTO ALLA CRISI ECONOMICA - E non va meglio per quelle misure che, in teoria, avrebbero dovuto essere messe in campo per fronteggiare i contraccolpi della crisi russo-ucraina, piano dell'agricoltura, il via libera alla possibilità di coltivare maggiori superfici riguarda estensioni insufficienti e peraltro è limitata nel tempo. Sul piano dell'energia, il cosiddetto Repower Eu vede l'impiego di risorse non spese del Recovery Fund e costituisce una gragnuola di nuovi oneri (come lo stop alla produzione di caldaie a gas) in capo a economie già fiaccate. Di un nuovo Pnrr ritagliato sugli effetti della guerra, di cui si era parlato da più parti, al momento non c'è alcun percorso concreto. Se c'è immobilismo sul futuribile, sull'esistente non va meglio. Nei progetti riguardanti il Pnrr messo in campo per reazione al Covid si è abbattuta la mannaia dell'inflazione, i prezzari delle materie prime attuali non sono più quelli in base al quale sono stati presentati gli obiettivi.

PATTO DI STABILITÀ - Se non altro, però, di fronte alla nuova fase di crisi (che rischia di tradursi in recessione per alcuni Paesi, tra cui l'Italia) la Commissione ha deciso di tenere attivata la clausola di salvaguardia sul patto di stabilità anche nel 2023. Su questo punto, al momento è stata di nuovo messa all'angolo la smania dei paesi frugali che all'inizio di quest'anno, stante il superamento di fatto della pandemia, avrebbero voluto riapplicare le norme. E però c'è un punto che rimane in sospeso. Il 2022, infatti, sarebbe dovuto essere anche l'anno di una riforma del patto di stabilità, su cui Mario Draghi ed Emmanuel Macron avevano dimostrato solidi intendimenti. Cambiare le regole a fronte del cambiamento del mondo e dell'economia dopo il Covid. Dossier che pare, però, al momento del tutto congelato.

 

 

SENZA SPINA DORSALE - C'è poi un tema che si lega segnatamente alla guerra in Ucraina, anzi due. Il primo è quello di una difesa comune, su cui si va avanti a passi troppo piccoli rispetto alle contingenze storiche. Il secondo punto è la soggettività politica. Le istituzioni comunitarie, dalla presidente Ursula von der Lyen all'Alto Commissario della politica estera Borrell hanno dato il senso di un'Unione marginale rispetto al quadro di crisi, senza una soggettività propria rispetto a un blocco anglosassone che spesso ha aumentato i toni di intensità verso la Russia. I tentativi, discontinui e isolati, di dare costrutto al negoziato, sono stati affidati a iniziative dei singoli capi di Stato e di governo. Il presidente francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz, quello austriaco Nehammer e da ultimo il presidente del consiglio italiano Mario Draghi. Peraltro, la grande enfasi sull'ingresso dell'Ucraina nell'Unione Europea (con domanda e questionari compilati in brevissimo tempo da Kyev) appena un paio di giorni fa è stata abbassata dalla Francia, con il riconoscimento del fatto che per il completamento del percorso verranno impiegati anni.

L'ASSENZA PERENNE SULL'IMMIGRAZIONE - E poi c'è il tema dei temi. L'immigrazione. L'incapacità di affrontare con logica di sistema la questione flagella l'Unione dai tempi della Commissione Juncker. Anni senza centrare l'obiettivo di riformare il trattato di Dublino. Anni senza riuscire ad avviare meccanismi automatici di ripartizione dei richiedenti asilo. Qualche tentativo di piani-succedaneo, peraltro risibili perché basati sull'adesione facoltativa e revocabile con una certa disinvoltura (come l'accordo di Malta). E una prospettiva non certo felice. Il blocco delle partenze del grano dai porti ucraini sta gettando l'ombra della carestia in Medio Oriente e in Africa (circa il 50% del grano che la Fao utilizza per il programma di contrasto alla fame del mondo viene dall'Ucraina). Una criticità che si innesta nelle instabilità preesistenti nel continente (per esempio le tensioni nel Sahel). E traccia la prospettiva di un esodo verso l'Europa (di cui l'Italia, meta della rotta mediterranea centrale, è uno dei primi approdi) che se non affrontato preventivamente rischia di essere incontrollabile, molto più e molto peggio del flusso che proveniva dalla Siria nel 2014.

 

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