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Il Partito Democratico dei soli uomini al comando pretende le quote rosa dagli altri

Carlo Solimene
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Il tema è serio e va maneggiato con cura. Ma, per farlo, sarebbe opportuno non avere scheletri nell'armadio. Invece... Succede questo: il sindaco uscente di Verona Federico Sboarina ha deciso di anticipare le nuove nomine al vertice di Veronafiere. Il consiglio di amministrazione uscente andava a scadenza il 30 giugno ma il primo cittadino ha bruciato i tempi. Il problema non sono le elezioni del prossimo 12 giugno (con ballottaggio il 26) nel capoluogo scaligero. I tempi erano così stretti che difficilmente a occuparsene avrebbe potuto essere il successore di Sboarina (o Sboarina stesso, visto che si è ricandidato). Quindi nessuna «scortesia istituzionale», come pure si è detto. Il problema è che su quindici poltrone disponibili il primo cittadino non ne ha destinata neanche una sola al sesso femminile. I nominati sono tutti uomini, a partire dalla presidenza del Cda riservata al leghista Federico Bricolo. Con la Lega che è uno dei partiti che sostiene la ricandidatura di Sboarina.

 

 

Insomma, al di là di come la si voglia guardare, un'operazione politica gestita non proprio nella maniera migliore. Fatto sta che la scelta tutta al maschile di Sboarina ha provocato la reazione in batteria di svariati esponenti del Partito democratico, tra cui - naturalmente - diverse donne. Per Beatrice Lorenzin «non c'è stato alcun rispetto della parità di genere». Per Alessia Rotta si è trattato di «una pratica spartitoria inaccettabile tipica di chi predilige logiche di potere all'interesse generale, che in questo caso è ancora più odiosa perché esclude la rappresentanza femminile da un ente di primo piano per la città». Per Valeria Fedeli si è di fronte a «una destra retriva e discriminatoria». Ma da che pulpito viene la predica? Dallo stesso partito che, alla formazione del governo Draghi, indicò come papabili ministri tre maschietti: Dario Franceschini, Andrea Orlando e Lorenzo Guerini. Che poi altri non sono che coloro che muovono i fili di tutto il Pd, padroneggiando tre potenti correnti, insieme con il segretario Enrico Letta, ovviamente maschio.

 

 

La questione, peraltro, fu tra i nodi che portarono alle dimissioni dalla segreteria Nicola Zingaretti, sempre maschio, così come tutti i suoi predecessori al vertice del Nazareno. Il buon Letta, da parte sua, una volta insediatosi provò a rimediare indicando due capogruppo donne alle Camere, ottenendo il via libera, però, solo dopo le polemiche velenose degli uscenti. La pezza individuata, poi, fu subito sconfessata nelle successive amministrative, quelle dell'autunno 2021. In tutti i Comuni principali al voto - da Napoli a Bologna, da Milano a Torino passando per Roma e tanti altri - i Dem lanciarono candidatti sindaci uomini, peraltro neanche giovanissimi (si andava dai 41 anni del bolognese Matteo Lepore in su). Una donna neanche a cercarla col lumicino. Anche in quel caso qualche polemica, ma nessun cambio di abitudini. Sboarina, insomma, si sarà comportato in maniera molto discutibile. Ma, prima di guardare alle quote rosa degli altri, sarebbe meglio concentrarsi sulle proprie. Almeno per dare il buon esempio.

 

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