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Scoppia la rivolta contro Forza Lega: l'asse Salvini-Berlusconi non piace a Gelmini, Brunetta e Vito

Daniele Di Mario
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«Forza Lega» spacca FI. La presa di posizione di Mariastella Gelmini prima sulla gestione del partito («Non riconosco più il Presidente Berlusconi. Il partito non ha classe dirigente», aveva detto la scorsa settimana) e poi sulle parole del Cav sull'Ucraina aprono un aspro dibattito all'interno del partito. Alla reprimenda della senatrice Licia Ronzulli (in pessimi rapporti con la ministra degli Affari Regionali dopo la sostituzione del coordinatore azzurro in Lombardia), fa eco Antonio Tajani che domenica sera aveva invitato Gelmini a una «maggiore responsabilità», perché la posizione di un singolo esponente «rischia di danneggiarci tutta». «Responsabile sì, ma con la schiena dritta», la replica di Gelmini, cui Tajani aveva controreplicato: «Io a viso aperto». Una tensione evidente anche durante la convention forzista di Napoli, dove pure la Gelmini era presente venerdì, salvo poi partire e non ascoltare le conclusioni di Berlusconi il sabato. Ma la ministra degli Affari regionali non è sola in questa battaglia.

 

 

Il suo collega di governo Renato Brunetta, infatti, domenica sera, si era apertamente schierato dalla sua parte. Insomma l'ala governista di Forza Italia torna in fibrillazione. Aspre le critiche all'eccessiva vicinanza di Berlusconi con Matteo Salvini, che aveva criticato proprio Gelmini: «Prima di criticare Berlusconi ci penserei cinque minuti». Al vetriolo la reazione della ministra: «FI non è ancora il tuo partito». Una frase dietro alla quale si cela tutto il malumore per i rapporti strettissimi tra il leader azzurro e il segretario leghista. Dalla parte di Gelmini e Brunetta si schiera Elio Vito: «Ricordo a me stesso, perché di certo Berlusconi e Tajani lo sanno, che i ministri li nomina il Presidente della Repubblica, non il presidente o il coordinatore del partito. E far trapelare sui giornali richieste di dimissioni di ministri è una grave scorrettezza istituzionale...». I rapporti tra «Forza Lega» e i governisti azzurri sono tesissimi. Il deputato del Carroccio Claudio Borghi, ad esempio, pur senza citarlo, interpellato dalla AdnKronos, entra a gamba tesa su Brunetta: «Ho letto interviste in cui ministri plaudono al vincolo esterno e alle lezioni dell'Europa. Se è meglio essere comandati da qualcuno all'esterno allora i ministri che ci stanno a fare?». Il ministro della Pa, in una intervista a la Repubblica aveva ribadito la fiducia nella possibilità del governo di portare a casa le riforme in vista del Pnrr: fisco, giustizia, catasto e balneari.

 

 

 

A provare a riportare l'ordine, è Antonio Tajani, che ripete il mantra di Arcore: senza FI non c'è centrodestra. «Ci sono tre grandi partiti, con identità precisa, noi siamo la forza liberale, europeista e riformista, siamo parte del Ppe, siamo il centrodestra, Berlusconi è il fondatore infatti, non abbiamo mai avuto pregiudizi, Berlusconi si è sempre impegnato per federare, non per fare un partito unico», dice a proposito dei rapporti con gli alleati il vicepresidente e coordinatore nazionale azzurro, ospite di AdnKronos Live. Il centrodestra vince se unito, ma pregiudizi sulla leadership «non ce ne sono, per ora pensiamo a vincere, poi si vedrà dopo il voto per le politiche», spiega Tajani. Quanto a Forza Italia, «nessun Vietnam, nessun caos» nel partito, assicura il coordinatore azzurro. «Possibile fuoriuscite per Brunetta e Gelmini? No, anzi, io vedo ingressi verso di noi, come Acunzo che ha partecipato a Napoli ai nostri lavori. Ci sono- sottolinea Tajani- malelingue che vorrebbero vederci scomparire dal panorama politico». Il numero due di FI spiega che «la realtà è diversa da quella che alcuni giornali di sinistra vogliono vedere. Abbiamo qualcuno in lista di entrata, c'è grande voglia di venire in FI, ci sono altri due o tre parlamentari che vogliono aderire a Forza Italia». Sulle ricandidature di Nello Musumeci in Sicilia e Attilio Fontana in Lombardia, «è prematuro chiudere la partita sui presidenti di Regione, nessun pregiudizio negativo, se uscenti possono vincere, allora ben vengano», spiega Tajani. Una posizione molto diversa da quella di Fratelli d'Italia secondo cui gli uscenti che hanno ben governato e si vogliono ricandidare devono essere sostenuti da tutta la coalizione, Musumeci e Fontana compresi. Di qui la necessità di ufficializzare subito la ricandidatura di Musumeci, sul quale Salvini e FI nicchiano. Quanto alle altre Regioni al voto - Lazio compreso- si dovrà ragionare a parte e comunque la scelta sui candidati non avrà nulla a che vedere con Sicilia e Lombardia.

 

 

Tornando ai rapporti invece tra Forza Italia e Lega e, soprattutto, tra Salvini e Cav, il segretario del Carroccio prova a tenersi a distanza dalle polemiche interne agli azzurri e non torna sul caso Gelmini, limitandosi a rimarcare: «Lascio a Forza Italia le sue discussioni. Io ho solo enorme affetto e rispetto per Berlusconi, che ha fatto per l'Italia cose enormi, grandiosi e irripetibili. Quindi, chiunque voglia criticare Berlusconi da fuori o da dentro dovrebbe ripensare a quanto ha fatto per l'Italia e per gli italiani. Poi non entro nei dibattiti interni di altri partiti, però sembra ingeneroso per quello che ha fatto in tutti i campi, dalla politica, all'editoria, alla cultura, alla televisione e al calcio». Salvini poi esclude qualsiasi rischio che il centrodestra possa arrivare ammaccato alle elezioni comunali di giugno e chiude a ogni ipotesi di alleanza con Matteo Renzi e Italia Viva. Quanto al proporzionale, «il Pd si occupa della legge elettorale, dello ius soli e del ddl Zan. Per noi le tre priorità sono lavoro, lavoro, lavoro dice - Il governo rischia per i capricci del Pd sullo ius soli e sul ddl Zan e del M5S che non vuole i termovalorizzatori».

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