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Riforme, cambiare la Costituzione non è più rinviabile

Riccardo Mazzoni
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Salvini ieri ha rilanciato la proposta di eleggere nel 2023, insieme al nuovo Parlamento, un’Assemblea Costituente, scegliendo cento personalità d’eccellenza al di fuori dei partiti per riformare la Costituzione. Un’idea subito rivendicata anche da Forza Italia, che ha già depositato alle Camere un disegno di legge costituzionale per varare una Convenzione che lavori tre anni a un testo di revisione della seconda parte della Carta. Si tratta a ben vedere di un’extrema ratio che, prendendo atto dai ripetuti fallimenti delle Bicamerali per le riforme e dell’impossibilità ormai conclamata di trovare un accordo in Parlamento, demanda questo compito cruciale a un’Assemblea esterna. La primogenitura di questo machiavello spetta di diritto all’ex presidente del Senato Marcello Pera, che già dieci anni fa, prendendo atto della crisi del sistema dei partiti, propose l’elezione di un’Assemblea composta da 75 membri incompatibili col mandato parlamentare e con qualsiasi altro incarico pubblico, votata con sistema proporzionale puro e chiamata a redigere il testo della nuova Costituzione entro dodici mesi, con un successivo referendum senza quorum da tenere entro i tre mesi successivi. Violante, da sinistra, si disse d’accordo di affidare le riforme a un organo esterno al Parlamento, purché però non fosse eletto dai cittadini. Prima ancora, era stato il migliorista Macaluso a proporre una Camera dei saggi al di fuori del perenne scontro politico sulle riforme.

La proposta è indubbiamente suggestiva, e anche per certi versi pragmatica, visto che tra un anno i partiti saranno impegnati, dopo le elezioni, a trovare la quadra per un governo in grado di gestire sia la drammatica crisi post-bellica che l’avanzamento del Pnrr, e quindi lo spazio per un’approfondita sessione di riforme appare quantomeno angusto, ma realisticamente è difficile trovare ora un accordo per la Costituente con Pd e Cinque Stelle: già in passato, infatti, l’obiezione più frequente è stata quella secondo cui il Parlamento non può accettare una sorta di commissariamento, vedendosi spogliato di una delle sue funzioni fondamentali, ossia quella di legiferare in materia costituzionale, ed è quindi prevedibile una rinnovata ostilità a questa Terza Camera di compensazione istituzionale, un organo collegiale eletto a suffragio universale e diretto che segnerebbe di fatto la sconfitta della politica.

Ma, Costituente o meno, non dovrebbe sfuggire a nessuno l'ineludibilità di affrontare concretamente il tema delle riforme nella prossima legislatura, e il centrodestra, che tutti i sondaggi danno per vincente, invece di continuare a litigare dovrebbe mettersi già ora al lavoro per presentare una proposta organica di revisione costituzionale e portare così a compimento il percorso di rinnovamento istituzionale sfumato sia con il fallimento delle Bicamerali che con le bocciature popolari delle riforme votate dal Parlamento senza maggioranza qualificata. In realtà, non c’è da inventare nulla, perché i capisaldi sarebbero le battaglie storiche del centrodestra: presidenzialismo, federalismo compiuto che spazzi via la pessima riforma del Titolo V e monocameralismo con un vero Senato delle Autonomie diverso da quello pasticciato della riforma Renzi. Finalmente si farebbe una profonda riforma della Giustizia più incisiva di quella Cartabia (separazione delle carriere, due diversi Csm con una Corte disciplinare esterna, responsabilità civile dei magistrati) e la riforma fiscale, oltre alla modifica in senso liberale dell’articolo 41 della Costituzione rafforzando il concetto di libertà d’impresa. Se non si farà l’Assemblea Costituente, insomma, poniamo almeno le basi per un centrodestra costituente.

 

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