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Mario Draghi da Biden disarmato, il premier resta isolato sull'invio di armi a Kiev: "No all'escalation"

Carlantonio Solimene
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I dubbi sull'escalation militare in Ucraina assalgono anche il segretario del Pd Enrico Letta. E Mario Draghi, alla vigilia della partenza per Washington, si ritrova virtualmente «sfiduciato». Perché le tre forze principali della sua maggioranza M5s, Lega e, appunto, Pd - hanno manifestato più di qualche preoccupazione per la direzione impressa da Joe Biden alla crisi nell'Europa dell'Est. E il capo del governo italiano, a differenza ad esempio del francese Emmanuel Macron, non ha fatto o detto nulla per smarcarsi dall'ingombrante alleato americano.

Si preannuncia piuttosto delicata la prima missione Usa di Draghi da presidente del Consiglio. Perché, di fronte, si troverà un Joe Biden che chiederà all'Italia di non tirarsi indietro di fronte alle nuove necessità createsi sul teatro bellico. «Bisogna adattarsi al ritmo della guerra» ripetono da settimane nell'amministrazione statunitense. E questo ha un significato preciso: non basta più la resistenza dell'Ucraina, l'obiettivo è diventato l'indebolimento (e la destituzione?) di Putin.

Di conseguenza servono sanzioni e, soprattutto, altre armi. In cambio gli Usa potrebbero mettere sul piatto qualcosa che all'Italia, oggi come oggi, serve come il pane: altro gas liquido per allontanare l'incubo dell'austerity in caso di interruzione dei flussi da Mosca. Il punto è che l'escalation militare è un impegno che Draghi, teoricamente, non potrebbe prendere. Perché alle sue spalle ha una maggioranza recalcitrante.

Dell'opposizione dei 5 stelle si sa tutto. Così come delle perplessità del leader della Lega Matteo Salvini. Fino a quando a rumoreggiare erano stati solo i gialloverdi, però, era stato gioco facile per i più atlantisti derubricare tutto a una ricerca spasmodica di consensi o alle precedenti vicinanze con Putin.

Ora che le obiezioni salgono anche dal Pd, la questione cambia sensibilmente. Ieri Repubblica ha anticipato alcuni passaggi dell'intervento che Enrico Letta avrebbe tenuto alla scuola di Formazione del Pd. «Nessuno vuole l'escalation militare - le sue parole - e nessuno ha mai pensato di inviare armi a Kiev come strumento di offesa e di aggressione in territorio russo». E ancora: «L'obiettivo resta quello di arrivare a un immediato cessate il fuoco e al negoziato».

Il caso (?) ha voluto che lo stesso giorno il Corriere della serapubblicasse un'intervista a Carlo De Benedetti, che per parte del mondo Dem resta un nume tutelare. Ebbene, sulla guerra l'Ingegnere ha usato toni tali da far apparire un guerrafondaio persino Giuseppe Conte: «Gli interessi degli Usa e del Regno Unito da una parte, e dell'Europa e in particolare dell'Italia dall'altra, divergono assolutamente. Se Bi den vuol fare la guerra alla Russia tramite l'Ucraina, è affar suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo».

E sull'invio delle armi: «Sono contrario, Biden ha fatto approvare al Congresso un pacchetto di aiuti da 33 miliardi di dollari, di cui 20 in armi: una cifra enorme, per un Paese come l'Ucraina. Questo significa che gli Stati Uniti si preparano a una guerra lunga, anche di un anno. Per noi sarebbe un disastro». Una posizione che non può essere evidentemente la stessa di Letta. Ma che, in qualche modo, contribuisce a smussare quella del segretario. E rilancia la palla nel campo di Draghi: sarebbe giusto che il premier prendesse impegni che la stragrande maggioranza dei suoi sostenitori non vuole assumersi? «Spero che la missione americana di Draghi porti Biden a toni più pacati e moderati» ha detto Matteo Salvini. Ma pensare che il premier vada a Washington per «correggere» la politica della Casa Bianca appare ambizioso. Sarebbe già tanto non subirla.

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