Perché non estraiamo il gas in Italia? Il presidente Bonaccini chiede lo sblocco dei giacimenti nell'Adriatico: "Il metano c'è"
Sfruttare al massimo i giacimenti di gas italiano. Anche a costo di inimicarsi quel Giuseppe Conte con il quale il segretario Enrico Letta sta faticosamente cercando di conservare una parvenza di alleanza. È la posizione del piddino Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna, la regione bagnata dal tratto dell'Adriatico che «nasconde» la più grande quantità di metano potenzialmente estraibile in Italia.
Bonaccini, ospite de L'Aria che tira su La7, mette in fila alcuni punti fermi interessanti sulla crisi energetica che rischia di travolgere il Paese se Putin dovesse decidere di chiudere il rubinetto delle sue esportazioni. Innanzitutto, l'Italia oggi è ben lontana dallo sfruttare al 100% i pozzi già esistenti e funzionanti. Se lo si facesse, anche senza creare nuovi «pozzi», la dipendenza energetica dalla Russia sarebbe meno grave. E le ragioni di chi si oppone a un potenziamento delle trivellazioni sono abbastanza risibili, soprattutto quelle degli ambientalisti. «Ha senso - si domanda il governatore rinunciare a estrarre nello stesso punto in cui, appena cento metri più in là, la Croazia raccoglie tutto quello che può?». La risposta è scontata. Poi il governatore candida le sue coste per ospitare una delle grandi navi rigassificatrici che il governo si procurerà per riconvertire il Gnl dall'estero, rivendicando che «la mia regione non è mai stata segnata dalla cultura del "Nimby" (non nel mio giardino, ndr)».
Infine, fa un ragionamento politico non banale. Perché, riguardo l'incapacità italiana di trarre il massimo dalle sue fonti energetiche, individua una responsabilità ben precisa anche nell'«alleato» Giuseppe Conte. Che, con il suo primo governo, decide una moratoria per sospendere vecchie e nuove autorizzazioni all'estrazione. Promettendo, nel contempo, l'adozione di un sistema regolatorio per ripartire entro 18 mesi. Ovviamente il termine non viene rispettato. «Il governo Conte bis non sblocca la situazione» ammette sconsolato Bonaccini. Il risultato dell'incertezza è che nel 2021 l'Italia tocca il minimo storico di produzione propria di gas: 3,3 miliardi di metri cubi, mentre in totale ne consumiamo circa 76, ovvero il 7% in più rispetto all'anno precedente. Una trentina di anni fa il gas estratto in Italia ammontava a 20 miliardi di metri cubi l'anno. Per capire, è stimato che nel sottosuolo della penisola - tra «terraferma» e giacimenti marini - ci siano circa 350 miliardi di metri cubi disponibili.
In pratica, ci si potrebbe an dare avanti per 5 anni. Ma le scelte politiche sono agli antipodi. Poi arriva il governo Draghi e finalmente viene licenziata - dopo tre anni - la regolamentazione promessa da Conte. Si tratta del Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, licenziato il 13 febbraio 2022, undici giorni prima della guerra. Per gli ambientalisti è una resa alle ragioni degli «inquinatori».
La realtà è diversa. Perché il documento voluto da Cingolani riduce di due terzi il territorio idoneo alle trivellazioni. Il risultato? Oltre il 70% delle 108 concessioni in essere per il gas si trovano in territorio non idoneo. Venti vengono revocate, per altre 45 parte la fase di verifica. Come se non bastasse, ci si mettono pure i ricorsi dei Comuni. Al Tar del Lazio ne arrivano 24, che- beffa finale in molti casi contestano il mancato rispetto delle scadenze temporali previste da Conte. E così siamo all'oggi.
Nel decreto Energia dei primi di marzo si corre frettolosamente ai ripari. All'articolo 16 vengono invitati i titolari delle concessioni in essere (e quindi non delle venti già sospese) a comunicare i possibili incrementi di produzione. Difficile tornare ai venti miliardi di metri cubi degli anni Novanta. In qualche anno si potrebbe arrivare alla metà, dieci miliardi. Ma l'obiettivo a breve termine del governo, peraltro di non facilissima attuazione, si limita a raddoppiare la produzione attuale e arrivare a 6/7 miliardi.
Insomma, fare il massimo che si può in breve tempo. Che poi è lo stesso auspicio di Bonaccini: andrebbero indagate le ragioni burocratiche che al momento frenano il passaggio tra il dire e il fare. Quelle politiche sono abbastanza evidenti. In quanto all'Emilia, fanno sapere dall'entourage del governatore, ambientalisti e grillini sono già sul piede di guerra. Che poi l'opposizione in nome del rispetto dell'ecosistema è assai fragile. Perché importare il gas dall'estero è maggiormente oneroso non solo per il portafogli, ma anche per il pianeta. Si stima che, per coprire le fisiologiche «perdite» di materia prima durante il lungo viaggio nei gasdotti, si debba estrarre il 20% in più di quanto poi effettivamente si consuma.
Insomma, se l'Italia importa circa 70 miliardi di metri cubi di gas, per soddisfarne i fabbisogni ne vengono estratti, in giro per il mondo, circa 84 miliardi. Insomma, ci si lava la coscienza in casa e si fa finta di non vedere quello che succede all'estero. Un po' come quando si dice no ai termovalorizzatori e si inviano i propri rifiuti negli impianti in Olanda. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia...