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Giorgia Meloni, "destinazione Colle". Luigi Bisignani: è il Quirinale il vero obiettivo della leader di Fratelli d'Italia

Luigi Bisignani
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Caro direttore, Giorgia Meloni sta puntando davvero a Palazzo Chigi? Oppure ha un altro piano per andare ancora più lontano, forte del suo dilagante gradimento tra gli italiani? Ha ragione, allora, Guido Crosetto, il più smart tra i fondatori di Fratelli d'Italia, quando dice che verrà fatto di tutto per impedire a Giorgia di conquistare Palazzo Chigi, come ha già minacciosamente affermato Laura Boldrini, pasionaria della peggior sinistra? E lei, classe 1977, alla sua quarta legislatura, è davvero il nuovo che avanza?

Interrogativi provocatori, ma legittimi, che si pongono dopo la tre giorni milanese del «one-Giorgia-show» in stile Donald Trump, accompagnata da incontri ben preparati, con la partecipazione di tre guest star assolute come Giulio Tremonti, Marcello Pera e Carlo Nordio che hanno avuto il merito di aver portato in FdI quelle ventate di liberismo e garantismo che non sono certo nelle corde dei vecchi militanti.

Il limite dell'impresa che sta affrontando Giorgia con il suo partito è forse quello di non aver ancora ben approfondito la rivoluzione derivante dai big data e, di conseguenza, non ha ancora neppure recepito il forte condizionamento delle piattaforme digitali nel dialogo tra partiti e cittadini. Sarebbe stato ancora più suggestivo, visto lo spiegamento di mezzi e risorse, vedere sul palco di Milano, ad esempio, personaggi come Gregg Semenza, Nobel per lo studio delle cellule, il teorico dell'infosfera Luciano Floridi oppure il presbitero francescano padre Paolo Benanti, autore di The Techno-Human Condition - ascoltato anche da Bergoglio - o Maria Rosaria Taddeo vicedirettrice del Digital Ethics Lab di Oxford.

Poteva chiamare, oltre alla fascinosa direttrice d'orchestra Beatrice Venezi, altre donne della società civile, anche solo per smentire la tesi che FdI è un partito governato sì da una dama di ferro ma che, almeno per il momento, schiera nelle sue fila soprattutto uomini. FdI è ancora da molti criticata per essere un partito che abbaia alla luna e troppo a caccia dei delusi e di quelli che protestano, anziché cercare quell'elettorato giovane sempre più preso e immerso nella «rete» e dalle sue infinite applicazioni in tutti i campi, dall'intelligenza artificiale alle monete digitali. Prospettive appena accennate nella convention di Milano.

Pochi riferimenti, per esempio, al ruolo delle banche centrali - a cui spetta il gravoso compito di contenere l'inflazione e le cui decisioni di politica monetaria determineranno il contesto finanziario in cui le imprese si troveranno ad operare - e nemmeno un richiamo alle criptovalute. Nonostante la leader di FdI sia Presidente del Partito dei Riformisti Europei, nessun accenno alle riforme dei Trattati europei, visto che in Europa ci siamo e con l'Europa dobbiamo convivere. Tanto meno al lavoro, che ormai non è più solo una questione puramente sindacale, ma al centro del dibattito degli economisti di tutto il mondo. Per non parlare di proposte per l'agricoltura, dove è ora possibile applicare l'intelligenza artificiale e i big data, i droni e la tecnologia di precisione, a partire dai trattori intelligenti e i sensori nei campi.

Sguardo un po' troppo rivolto al passato anche sulla famiglia, certamente sacra, ma anch' essa in continua evoluzione; chiusura, quasi stizzosa, nei rapporti con gli alleati, così come sulla scelta dei candidati, in un costante braccio di ferro e senza margini di dialogo, come è stato con Michetti a Roma o come sarà con Musumeci in Sicilia. Oppure, l'ultimo segretissimo «coup de théâtre», quello di voler imporre, pare, la candidatura del generale Francesco Paolo Figliuolo per il centrodestra alla presidenza della Regione Lazio. Una rigidità, quella di Giorgia, che si propaga nei suoi attendenti sparsi in Italia che scimmiottano, senza tuttavia averne le capacità, il piglio della loro leader che si sta facendo sempre più spazio anche a Washington e nelle più importanti cancellerie europee, dove peraltro parla un inglese perfetto.

Non si dimentichi inoltre che oggi, in Vaticano, guardano a lei come uno dei pochi interlocutori credibili nel panorama italiano, grazie a una fitta rete che, dal Segretario di Stato, scende per i rami dei vari dicasteri con il supporto di cardinali che contano. Questa strategia politica di ballare da sola, secchiona, diffidente e gigionesca, ormai sotto gli occhi del mondo, al momento paga, soprattutto perché spinta dalla costante coerenza nel non scendere mai e a nessun costo a compromessi con la sinistra. Una strategia che, nelle prossime elezioni politiche, le permetterà di raddoppiare, se non triplicare, i propri parlamentari, i quali formeranno una vera e propria «testuggine romana» da lei governata, modello Thatcher, come ha imparato da Gianfranco Fini ai tempi di Alleanza Nazionale, che ebbe il merito di imporla ai suoi colonnelli, a soli 29 anni, come vicepresidente della Camera. Senza contare che se riuscirà ad aggiudicarsi 60 seggi al Senato, diventerà lei il mazziere della prossima legislatura. Ma per cosa? Forse il disegno di Giorgia, il suo vero piano, è invece un altro, intestarsi e vincere la battaglia delle battaglie: una riforma presidenziale che, nei tempi e nei modi dovuti, la porti dritta al Quirinale.

La prima donna eletta a suffragio universale senza più il ridicolo limite dei 50 anni. Del passaggio a Palazzo Chigi, fonte di trabocchetti e veleni, Giorgia può fare a meno e il tempo davanti certamente non le manca. Perfino uno come Draghi che tanto la stima ha capito che fare il premier senza veri poteri e senza l'investitura popolare porta male, che è un mestiere impossibile e, soprattutto, fa perdere consensi.

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