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Dar voce a Sergej Lavrov non vuol dire condividerne le idee

Mario Benedetto
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Dalla pratica alle questioni di principio, che poi sono strettamente collegate, andiamo in medias res: parliamo di uno scoop giornalistico, di un'intervista che tutti avrebbero fatto. Confrontandoci tra colleghi, in sincerità e anche con quelli che pubblicamente prendono le distanze, non ci siamo nascosti dietro a questioni di perbenismo e opportunità, che poco hanno a che fare con la libertà d’informazione.

Quella dell’intervista a Lavrov è una polemica che conferma un livello di analisi troppo spesso di superficie. Dare voce a una questione o ad una personalità, sobria o controversa che sia, non significa sposarne la linea e il pensiero. Difficile da comprendere e accettare? Eppure è pane quotidiano del nostro mestiere. A confermare la natura pretestuosa di certe affermazioni, per di più, c’è la linea che - possiamo dire universalmente, com’è giusto che sia - non solo Rete4 e Mediaset, ma tutti i protagonisti dei media sposano nel condannare l’offensiva russa. Un attacco che mette a repentaglio non solo la serenità di una nazione indipendente, ma di equilibri diplomatici globali sempre più fragili. Al punto che a difenderla sono praticamente solo coloro che la conducono. E farli parlare credo significhi generare l’effetto esattamente opposto di quello che in molti pensano: le loro parole mettono a nudo pensieri inaccettabili e teorie irripetibili. Danno una rappresentazione della realtà. Se mai parlasse anche Putin, come rilanciato da Brindisi, realisticamente inorridiremmo.

 

 

 

 

Sarebbe bello sentire i molti colleghi benpensanti condannare anche amici, o loro stessi, nel momento in cui accettano interviste «a condizioni», che vanno spesso ben oltre l’assenza di contraddittorio. E sarebbe bello che anche la politica, che condanna correttamente propaganda e pensiero unico, prenda pubblicamente le distanze da comportamenti che possano in qualche misura condizionare la libertà di chi racconta, soprattutto di chi dovrebbe fare servizio pubblico. Ma oggi abbiamo qualcuno contro cui puntare il dito. Se, però, invece di questo dito guardassimo la luna ci renderemmo conto che ad essere in gioco non è la figura di un rappresentante di un governo autoritario e incommentabile, né una rete che lo mette a nudo davanti all’opinione pubblica, quanto la libertà di una professione.
 

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