Guerra in Ucraina, l'Italia ha bisogno di meno piste ciclabili e più rigassificatori
Il conflitto in Ucraina perdura e nonostante le trattative non è chiaro quanto potrà durare e la ricaduta che avrà sull’intera economia. Il Centro studi di Confindustria ha stimato che la crescita del Pil per l’anno corrente sarà pari a +1,9% con un’ampia revisione al ribasso. Un dato molto diverso dal +4% di cui si parlava lo scorso ottobre. Considerando anche il +2,3% di crescita acquisita, l’Italia potrebbe così entrare in una recessione tecnica di dimensioni limitate.
Carlo Bonomi parla di numeri che spaventano in maniera molto forte e danno concretezza a un allarme crescente ma purtroppo inascoltato dalle istituzioni. Quando si dispiegheranno gli effetti del conflitto, il calo del Pil sarà di 0,2% e di 0,5%, rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre dell’anno, spostando anche di un anno le stime di ritorno ai livelli pre-Covid. Questo tenendo comunque presente che la previsione per il 2023 è per una crescita del Pil del +1,6%. Un prolungamento del conflitto finirà infatti per riflettersi sui prezzi dei beni energetici, in particolare gas e petrolio, e di alcune commodity agricole ma anche sul corretto funzionamento delle catene globali del valore e del commercio internazionale, sulla fiducia degli operatori attraverso il canale dell'incertezza e sui mercati finanziari.
Partendo da questi presupposti, Confindustria ha analizzato ciò che potrebbe accadere se la guerra tra Russia e Ucraina non terminasse entro il secondo trimestre 2022. In un primo caso definito lo «scenario avverso», ipotesi in cui la guerra durerebbe per tutto il 2022 la crescita dell'economia italiana si fermerebbe al +1,6% nel 2022 e al +1% nel 2023. Nel caso in cui la guerra si estendesse fino a dicembre 2023 le stime per il Pil sono di +1,5% nel 2022 e -0,1% nel 2023. Le imprese italiane, che fino ad oggi hanno in gran parte assorbito nei propri margini l’aumento di 5,7 miliardi su base mensile dei costi, si trovano ormai in una situazione insostenibile. Per questo diverse imprese stanno riducendo o fermando la produzione, o prevedono di farlo nei prossimi mesi.
Nell’attuale scenario economico anche gli effetti positivi derivanti dall’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono a rischio, perché alcuni degli investimenti previsti potrebbero essere di difficile realizzazione ai prezzi attuali. La scarsità di materiali potrebbe poi rendere difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti. Io sono Andrea Pasini un imprenditore di Trezzano Sul Naviglio e credo che sia giunto il momento di fare quelle riforme che il nostro Paese aspetta da 30 anni, quelle riforme che rendano l’Italia competitiva. Su questi temi bisogna spingere sull’acceleratore, accantonando progetti di minore importanza. Un esempio? È meglio costruire 52 km di piste ciclabili o realizzare quegli impianti di rigassificazione di cui abbiamo bisogno e che possono portare sollievo alle bollette energetiche di imprese e famiglie? Oppure costruire con urgenza delle centrali nucleari di ultima generazione per cercare il prima possibile di rendere il nostro paese il più possibile autosufficiente sotto il punto di vista energetico? La risposta, almeno a me, sembra ovvia.