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Pnrr, governo arenato sui progetti. Draghi chiede aiuto alle Regioni

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Carlantonio Solimene
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Il governo Draghi prova a superare l'impasse sulla messa a terra del Pnrr e chiede l'«aiutino» alle Regioni. Permettendo, attraverso un articolo del decreto licenziato mercoledì in cdm, di finanziare dei «progetti bandiera» con i fondi inutilizzati del Piano. Sulla carta è un'iniziativa lodevole: fare in modo che a gestire i fondi europei non sia solo il governo centrale, ma anche chi conosce meglio le esigenze dei vari territori. Cioè le Regioni. E anche la formulazione della normetta, in cui si parla di eventuali «economie» realizzate nei vari progetti da destinare ai governatori, sembrerebbe voler sottolineare un ciclo virtuoso: l'esecutivo è talmente bravo che riesce persino a spendere meno di quanto dovrebbe. E l'avanzo va ai territori.

Peccato che questa narrazione si scontri con le voci dissonanti. Come quelle dei sindaci che assicurano sarà impossibile realizzare in tempo le opere richieste dal Piano a causa della burocrazia imperante. O quella della Corte dei Conti che, a fine marzo, nella relazione sul Piano ha segnalato come «i dati disponibili, relativi ai progetti complementari, indicano che solo poco più del 50% delle somme stanziate sono state impegnate e pagate».

Insomma, che ci siano difficoltà è innegabile. Ed è qui che si inserisce l'asse con i governatori. Che fa tutti contenti: l'esecutivo, perché dimostra di essere in grado di spendere tutti i soldi in arrivo e manda un segnale all'Europa; le Regioni, che finalmente hanno un po' di cassa cui attingere. E pazienza se il «perimetro» dei progetti finanziabili sia limitato, visto che devono comunque rispondere alle «mission» del Piano: digitalizzazione e transizione ecologica. Il primo a esultare per l'opportunità è stato il governatore del Veneto Luca Zaia: «Da tempo chiedevo un maggiore coinvolgimento delle Regioni nell'attuazione del Pnrr, così da individuare investimenti su misura per i territori. Siamo pronti- ha detto- per regalare al Veneto il progetto che si merita».

E naturalmente anche la ministra degli Affari regionali Mariastella Gelmini ha celebrato la decisione: «Ogni Regione o Provincia autonoma potrà proporre un progetto di particolare rilevanza strategica per la propria comunità: 21 macro interventi che saranno il cuore pulsante del Pnrr declinato negli enti territoriali». C'è da augurarsi davvero che questi «progetti bandiera» siano in grado di dare un imput positivo al quadro economico. Perché, se si resta all'attualità, c'è poco da rallegrarsi. Ieri sempre la Corte dei Conti, attraverso il presidente Guido Carlino in audizione alla Camera sul Def, ha quantificato il conto potenziale dell'instabilità internazionale sulla nostre finanze. «Con il Pil 2022 al +2,9%, rispetto a quanto previsto nella precedente Nadef, la perdita cumulata di prodotto nel biennio 2022-23 sarebbe pari a 40 miliardi di euro a prezzi costanti».

Certo, una speranziella ci sarebbe: «È indispensabile - ha detto Carlino - poter contare sugli effetti del Pnrr, sia diretti, ossia in termini di impatto, sia indiretti, nella misura in cui le iniziative poste in essere avranno successo sul piano macroeconomico e genereranno effetti di retroazione in termini di maggiore crescita e quindi minor deficit e debito». Peccato che la «cornice» del Piano sia ancora incompleta: «Ancora solo preliminari sono i passi compiuti nell'avvio di riforme da cui si attendono risultati di rilievo nel prossimo futuro». Fisco e concorrenza, insomma, sono ben lontani dal vedere il traguardo. Perché gli enti locali avranno i loro problemi, ma anche l'esecutivo non se la cava benissimo. 

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