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Fisco, armi, pandemia e giustizia. Così i partiti corrono verso le elezioni

Gaetano Mineo
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Il vero calvario per Mario Draghi a Palazzo Chigi inizia quando i partiti della sua maggioranza l’hanno «trombato» come presidente della Repubblica. La mancata poltrona al Colle, in pratica, per il premier segna la fine della luna di miele di un governo nato soltanto grazie al Covid-19, senza nessuna visione politica comune tranne quella di sconfiggere il virus cinese. Minimo comune denominatore spazzato via nel corso della lacerante settimana che alla fine, come il gioco dell’oca, ha riportato Sergio Mattarella al Quirinale. Infatti, dagli inizi di febbraio, l’unico vero alleato di Draghi è il Capo dello Stato, tutti i partiti della maggioranza, nessuno escluso, da allora a oggi hanno fatto di tutto per mettere i bastoni tra le ruote di Palazzo Chigi.

Il primo segnale arriva a pochi giorni dall’insediamento di Mattarella. Sul tavolo del Cdm c’è uno dei tanti decreti sull’emergenza Covid-19. Sul governo si abbatte un netto smarcamento della Lega con la decisione di non votare il nuovo provvedimento. In pratica, il malessere del partito di Salvini esacerbatosi durante le trattative sul Quirinale si scarica sul ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, numero due del Carroccio e molto vicino a Draghi. Con il risultato che il ministro leghista, diserta non solo la cabina di regia politica ma anche il Cdm. Una scossa tellurica a Palazzo Chigi mai vissuta fino a quel momento dal premier.

Un’avvisaglia che rende consapevole Draghi che da ora in poi, nulla sarà come prima. E così è andata. Sono trascorse meno di due settimane, e un’altra scossa si abbatte sul Parlamento dove i Cinque Stelle puntano i piedi sul Superbonus, il Pd scivola sui fondi all'Ilva e la Lega scatena la guerriglia per il Green Pass e la durata dello stato d'emergenza. Per la prima volta, Draghi perde le staffe: «Il governo è qui per fare le cose e la maggioranza deve garantirgli i voti in Parlamento. Altrimenti non si va avanti». Per il premier, la misura è colma, comincia ad avere anche la certezza che i partiti sono entrati in campagna elettorale e governare, in queste condizioni, sta diventando impossibile. A marzo arriva la riforma del catasto per la quale la maggioranza si spacca.

La Lega minaccia: «Da oggi mani libere». Cresce l’amarezza di Draghi. Il governo continua ad andare avanti a colpi di chiarimenti e incontri tra il premier e i vari leader dei partiti, pronti a puntare i piedi su tutto e il contrario di tutto. Sul tavolo di Palazzo Chigi arriva il Dl Ucraina con l’aumento delle spese militari del 2 per cento. Si riaccendono le tensioni nella maggioranza. E nel governo. Il M5s ribadisce il suo no a qualunque ordine del giorno sulle spese militari. Sul riarmo è scontro frontale tra Draghi e Giuseppe Conte. La pazienza del premier continua ad essere messa a dura prova, ma non molla, avvertendo: gli impegni assunti non possono essere messi in discussione, così viene meno il patto di maggioranza. E sale al Colle, sempre più l’unico alleato. Nella maggioranza ci si continua a guardare con sospetto. Anche tra chi dovrebbe essere alleato come M5s e Pd. Nonostante le divisioni già piuttosto marcate sulle sanzioni alla Russia, questa volta sono tornate, sfiorando la rissa. La maggioranza si divide nuovamente sulla Delega fiscale. Tra le proposte respinte, quella che toccava i principi e criteri direttivi per la revisione delle addizionali comunali e regionali all’Irpef. La Lega pone un ultimatum: «Non devono aumentare le tasse su BoT e locazioni». Infine, l’annosa questione giustizia, in particolare la riforma della magistratura e del Csm che da mesi è stata animata da aspri confronti che hanno visto più volte il governo spaccato. Fuori dal coro, soprattutto Lega e Iv. Ma, in queste ore, la riforma sembra aver imboccato l’ultimo miglio con i partiti pronti a sotterrare l’ascia da guerra. Per Draghi, tuttavia, la strada è sempre più in salita.
 

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