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A Torino va in scena l'ennesimo atto della dittatura di Mario Draghi. Gianluigi Paragone e il Draghistan

Gianluigi Paragone
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Martedì a Torino la democrazia italiana ha perso nel silenzio generale un altro pezzo. Poco male, sono mesi che la latitudine dei diritti e libertà è stata spostata un po’ più in là sostenuta da una buona ragione che sa di falsità più che di emergenza. A Torino era in visita il premier Mario Draghi, l’uomo della Provvidenza, colui al quale il parlamento ha consegnato una maggioranza larghissima, tanto da resettare le rispettive identità (ce ne saranno ancora?) e da rinnegare i programmi elettorali. Nella città sabauda il Governatore si è comportato da re, ordinando - previa disposizione della signora Lamorgese, la ministra degli idranti ai lavoratori, dei manganelli agli studenti e dei moti ondulatori dei blindati - di non essere disturbato. Guai a rompere la celebrazione del «Mancetta tour», il giro nelle città italiane più importanti con cui Mario Draghi, colui che azionò il bazooka monetario del quantitative easing, elargisce i soldi finti del Pnrr a sindaci coi bilanci tiratissimi. Poiché però l’Italia non è fatta di soli beoti che si bevono tutto o di giornalisti che tributano applausi al termine delle conferenze stampa presidenziali, qualche malumore inizia a montare: le bollette costano, signora mia, e pure la benzina e il carrello della spesa si fanno parecchio sentire, tanto più se in casa lavora uno su due e magari è pure precario.

 

 

Per non dire di coloro che si sono dovuti vaccinare per avere ancora uno straccio di busta paga con cui far fronte al caro vita, o di quelli che non si sono vaccinati e che per questo stanno subendo trattamenti discriminatori sul lavoro. Ecco, io ero a Torino con loro. Una manifestazione composta, al termine della quale però mi avevano raccontato di cariche, di manganelli e di gente a terra in attesa dell’ambulanza. Essendo lì assieme a una deputata, Jessica Costanzo, ci sembrava doveroso andare a sincerarci della situazione. Un parlamentare è nel pieno dell’esercizio delle sue prerogative anche in casi simili. Ma non a Torino, non con Draghi in visita pastorale blindata. Davanti a me e alla Costanzo dirigenti della questura hanno opposto un muro di agenti con casco, scudo e armamenti vari (tutto testimoniato in diretta sui social) su ordine del questore di Torino, a cui va riconosciuto il premio «zelante dell’anno». Il questore sicuramente avrà salvato la sua poltroncina ma non solo ha fatto una pessima figura ma ha pure dato dimostrazione della sua scarsa capacità a gestire situazioni tutt’altro che tese: sarebbe bastato far passare - come giusto che fosse - due parlamentari e la cosa finiva lì. Ma la democrazia nel tempo del Draghistan non prevede dissenso. Perché la Democrazia in Purezza è sacra. E va difesa non solo schierando quelle forze dell’ordine che a Torino come in altre città vorrebbero vedere quando c’è da fare i conti coi violenti, i delinquenti, gli spacciatori, gli ubriachi molesti, i ladri e via discorrrendo; va difesa eliminando le tossine del dissenso.

 

 

In questi mesi di lunga rieducazione abbiamo visto la prima fase (vaccini di Stato per lavorare, Green Pass per dimostrare il diritto di cittadinanza, dovere di omologazione per avere il diritto di parlare senza essere etichettati); la seconda è in cantiere: dalla identità digitale al posto dei diritti Costituzionali, alla eliminazione degli spazi democratici attraverso la neutralizzazione dell’opposizione. Se oggi due parlamentari possono essere bloccati da un muro di agenti in tenuta antisommossa senza che nessuno parla bocca, domani faranno di tutto per escludere democraticamente i partiti antisistema: basta rendergli la vita impossibile con la raccolta delle firme, il controllo delle stesse, alzando il quorum a cifre assurde in un parlamento ridotto di rappresentanti e poi tollerando qualche broglietto per annullare i voti. La Democrazia in Purezza va difesa anche a costo di qualche impurità. È l'emergenza, baby.

 

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