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Draghi finisce nel pantano: dal catasto al salario minimo è già partita la corsa elettorale

Finita la tregua post Quirinale: i partiti non mollano sui temi identitari e per Draghi si fa dura

Pietro De Leo
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La complessità del momento internazionale, con tutti i contraccolpi in campo economico, si innesta sulla dimensione interna, che vede una maggioranza di unità nazionale con lo scossone dell’elezione al Quirinale, dove le forze politiche hanno scelto la continuità di un Mattarella bis come uscita d’emergenza di fronte all’impossibilità di trovare un accordo su un nome alternativo. Ora, c’è la spinta dell’anno elettorale, che conduce i partiti (legittimamente) a recuperare i propri punti qualificanti nei mesi che separeranno all’appuntamento per il rinnovo delle Camere. Con due effetti collaterali: da un lato, il decisionismo del Draghi prima versione si abbatte sulle rivendicazioni di parte. Lo abbiamo visto con il nodo spese militari, che ha visto scendere in trincea il Giuseppe Conte e il Movimento 5 Stelle, quantomeno la parte che a lui fa riferimento.

Ma l’agenda per l’Esecutivo Draghi appare piuttosto complicata. Oggi ci sarà un altro tavolo di maggioranza sui punti più complicati della riforma della giustizia, in particolare l’elezione del Csm dove Forza Italia, Lega e Italia Viva chiedono un meccanismo di «sorteggio temperato». Il tema è stato oggetto di una telefonata, nei giorni scorsi, tra Silvio Berlusconi e Mario Draghi, dove il leader di Forza Italia ha annunciato che non mollerà un tema tradizionale per il movimento azzurro, così come sulla riforma del catasto. Qui, mentre il Pd è schierato sulla linea del governo (che potrebbe portare a un aggravio di tasse sul mattone dal 2026 come più volte spiegato in queste pagine), Forza Italia e Lega chiedono una soluzione mediana: mantenere la mappatura degli immobili e non applicare il passaggio da catasto reddituale a patrimoniale. Altro tema spinoso sul tavolo, poi, il riordino delle concessioni balneari. E sul piano economico, ieri Giuseppe Conte in un’intervista a Repubblica aveva ravvivato un altro punto critico: «sul salario minimo», ha detto, «ci aspettiamo che il Pd prenda posizioni chiare e forti».

Ma sul punto, ad esempio, c’è già la netta contrarietà di Forza Italia. Poi c’è un altro comparto di temi, che riguarda l’immigrazione e l’integrazione. Sul primo punto, da giorni la Lega preme su Luciana Lamorgese affinché, a fronte della grande prova di solidarietà per accogliere gli ucraini in fuga dalla guerra, non siano trascurate la rotta balcanica e mediterranea. D’altronde, il numero di sbarchi ha sfondato quota 8mila, da gennaio al primo aprile, quasi duemila in più rispetto allo scorso anno. E c’è il tema della riforma della cittadinanza. Oggi scade il termine per i ricorsi sugli emendamenti dichiarati inammissibili, 60 dei quali sono stati presentati dalla Lega (su 484 totali del partito di Matteo Salvini). Ed in questo senso si delinea il solco tra i due emisferi della maggioranza.

La Lega è sommariamente contraria a questa riforma della cittadinanza. Forza Italia è d’accordo sul principio, ma ha presentato alcuni emendamenti di sostanza (per far sì che non basti la frequenza di un ciclo scolastico per ottenere la cittadinanza, ma la conclusione con esito positivo). Anche se, ieri sera, Maurizio Gasparri l’ha messa giù chiara: «Non credo che le leggi vigenti sulla cittadinanza saranno modificate alla Camera. In ogni caso non accadrà al Senato. Non ci sono le condizioni perché ciò si verifichi in questa legislatura. Va detto con chiarezza a quanti pensano che la priorità sia la revisione delle norme fin troppo generose in vigore nel nostro Paese».
 

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