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Mario Draghi cede al ricatto del M5S sulle spese militari. Proteste di Fratelli d'Italia: trucco puerile

Daniele Di Mario
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Il presidente del Movimento 5 Stelle «non intende fare passi indietro» sul «no» all'aumento delle spese militari. Lo ribadisce di nuovo, dopo il botta e risposta con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che martedì ha fatto fibrillare la compagine di Governo e temere - come filtrato da Palazzo Chigi - che fosse «venuto meno il patto di maggioranza». «Il M5S non lavora a una crisi di Governo ma a proposte di buon senso nell'interesse dei cittadini», assicura il leader pentastellato, che però si lancia in una guerra di numeri con Palazzo Chigi: «Con Conte al Governo la spesa militare è aumentata di un miliardo di euro l'anno», mentre incrementare la spesa militare fino al 2% del Pil entro il 2024 «significherebbe aumentare di almeno 6 miliardi l'anno gli stanziamenti per la difesa nelle prossime due leggi di bilancio, per saltare da 26 a 38 miliardi di spesa militare annua», fa sapere una nota del M5S. Insomma, a Conte non sembra essere andato giù il riferimento di Palazzo Chigi all'aumento della spesa per armamenti durante il suo mandato da premier. Anche perché «si evince chiaramente che l'incremento delle spese militari con i governi Conte è stato in media inferiore al miliardo l'anno. Un dato sensibilmente differente da quanto fatto registrare dall'attuale esecutivo, che in un anno ha disposto 1,6 miliardi di euro di aumento». I dati sono «quelli ufficiali del Ministero della Difesa che ogni anno definisce il cosiddetto bilancio integrato Difesa in chiave Nato», sottolineano ancora i 5 stelle, che li spalmano anche sui social. Il post del profilo ufficiale del M5S viene rilanciato anche dallo stesso leader, che ribadisce: «Questa è la posizione che guarda all'interesse del Paese e ai bisogni dei cittadini. Non intendiamo fare passi indietro». Questo significa «no» all'aumento delle spese al 2% entro il 2024, ma non rinunciare a quell'obiettivo in tempi più lunghi: «L'impegno del 2% può essere centrato solo con una crescita di spesa progressiva, spalmata nei prossimi anni, ad esempio da qui a quantomeno il 2030», sostengono i 5 stelle.

 

 

La linea di Conte è dunque quella di non «mettere in discussione» gli obiettivi richiesti dalla Nato ma di rispettarli in modo più soft. Una mediazione sembra possibile, tanto è vero che in serata dal quartier generale pentastellato filtra apprezzamento per la posizione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che «sposta questo obiettivo al 2028, che è un buon passo verso quella sostenibilità e gradualità, da noi sempre richiesta. Un buon passo verso le nostre posizioni». E una mediazione è sicuramente necessaria, almeno per il segretario del Pd Enrico Letta, secondo il quale «l'Italia lascerebbe sbigottito il mondo intero se si aprisse ora una crisi di Governo». Conte conferma la posizione in una riunione con i senatori M5S a Palazzo Madama e li invita a votare la fiducia al Dl Ucraina. Anche perché il decreto arrivera in Aula senza un relatore. Questo significa che decadono gli emendamenti e gli ordini del giorno presentati in commissione, compreso quello presentato da Fdi sull'aumento della spesa militare. Le commissioni Difesa ed Esteri non hanno potuto votare emendamenti e Odg in quanto non sono arrivati i pareri della commissione Bilancio. Questo impedisce di votarli in aula. Il voto di fiducia sul decreto Ucraina al Senato è previsto per stamattina alle 11.

 

 

«FdI voterà contro il decreto Ucraina. È un voto contro il governo ma è anche contro il ricatto dei 5 stelle», annuncia il capogruppo di Fratelli d'Italia a Palazzo Madama Lucia Ciriani, che aggiunge: «La maggioranza cerca di nascondere la polvere sotto al tappeto facendo arrivare in aula il decreto senza relatore e pensando di cancellare così gli impegni presi, ma quello che è evidente è che questa maggioranza è sotto ricatto del M5S. Ci vorrebbe più serietà da parte della politica in un momento così delicato, FdI voterà contro il decreto per protesta contro il governo». «Un trucchetto parlamentare, anche di basso livello, direi puerile per non dire ridicolo, da parte di M5S - rincara la dose Ciriani - Non è che con questi trucchetti si possano nascondere la realtà e la verità. Il problema è che la maggioranza e il governo sono sotto il ricatto di Conte e di M5S». Non voterà la fiducia neanche il presidente M5S della commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli, consapevole che questo potrebbe comportare la sua espulsione: «Oggi rappresento una maggioranza e domani potrei non rappresentarla più», ma «non mi dimetto da presidente della commissione». Ma questo per Conte, a fronte del rischio di una crisi di Governo, potrebbe essere il male minore.

 

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