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La guerra apre ferite anche nei nostri partiti: centrodestra e centrosinistra senza bussola

Riccardo Mazzoni
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Appena qualche mese fa, il 4 novembre, l'Italia ha celebrato il centenario del Milite Ignoto, simbolo dei milioni di vittime della Prima Guerra Mondiale che segnò il suicidio dell'Europa imperiale in un'ecatombe di civiltà. Il sepolcro del Vittoriano rappresenta ancora oggi il riconoscimento simbolico del sacrificio di una generazione caduta al servizio della Patria senza il conforto di un luogo dove renderle omaggio. Oggi l'Europa è alle prese con un nuovo disegno imperiale, quello della Russia neozarista, e l'Ucraina gli si sta opponendo con la determinazione di un popolo che simboleggia col proprio sacrificio la resistenza a un'invasione insensata che ha riportato indietro l'orologio della storia. La guerra lampo pianificata da Putin è platealmente fallita, nessun armistizio è all'orizzonte, e nessuno sa quanti militari e quanti civili, uomini, donne e bambini, l'Ucraina dovrà veder sparire in nome della propria sopravvivenza come Stato sovrano, anche se è già chiaro che l'Orso russo non riuscirà a cancellare il sentimento identitario di un popolo fieramente abbarbicato al suo sentirsi nazione.

 

 

Questa immane tragedia in atto nel cuore d'Europa ha inevitabilmente messo a nudo contraddizioni e retaggi della politica italiana, e non sorprendono le crepe aperte a sinistra appena si è attenuata l'ondata emotiva della guerra, con l'Anpi schierata al fianco di Putin, la Cgil in piazza con le bandiere arcobaleno e l'armata pacifista a rievocare gli sciagurati slogan del neneismo. Il «campo largo» di Letta nasce insomma minato dagli stessi tarli ideologici dell'Unione di Prodi, perché dopo il voto praticamente unanime sull'invio delle armi a Kiev stanno riemergendo le pulsioni di un Movimento grillino che ha cambiato abito ma non pelle, e in cui resta forte l'antioccidentalismo dei governi Conte, che aprì perfino le porte a una schiera di agenti dei servizi segreti russi mascherati da buoni samaritani anti Covid. Ma almeno il Pd questa volta non ha avuto tentennamenti, e il suo segretario non si è mai tolto l'elmetto occidentale.

 

 

E il centrodestra? Da qualche tempo i suoi leader recitano purtroppo il copione dei perenni separati in casa, ma era auspicabile che questo improvviso versante della storia avrebbe fatto prevalere le ragioni dell'unità d'azione nel solco del suo tradizionale dna, perché in gioco in Ucraina ci sono valori come la difesa della Patria e la violazione della sovranità nazionale, un concetto che Giorgia Meloni ha lucidamente compreso mettendo il suo partito di opposizione al servizio dell'Italia, della causa del popolo ucraino e della sicurezza europea. Forza Italia, pur nel silenzio del suo fondatore, è rimasta ferma nella convinzione che oggi non si possa essere patrioti italiani senza esserlo anche europei, e si sta comportando di conseguenza al governo e in Parlamento. Dentro la Lega stanno invece tornando a galla le stesse ambiguità che la indussero a siglare il contratto di governo con i Cinque Stelle, innestando una vistosa retromarcia sia sull'aumento delle spese militari che sull'invio delle armi all'Ucraina, forse sperando così di lucrare sull'ostilità di una parte dell'opinione pubblica a pagare un prezzo alla causa del popolo ucraino. Più che un riflesso condizionato dai pregressi rapporti con Mosca, sembra pesare su questa scelta la mancata consapevolezza di questo nuovo scenario in cui, senza un rafforzamento della difesa nazionale e comunitaria, non saremo in grado di far fronte a possibili aggressioni militari. Questa è la cruda realtà, e l'ultima cosa di cui avrebbe bisogno il centrodestra è di dividersi anche tra patriottismo e pacifismo.

 

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