Il presidenzialismo e quel vizio per l'autogol del centrodestra. In fumo la riforma di Fratelli d'Italia
«Houston, abbiamo un problema»: il centrodestra che è riuscito ad affossare la riforma presidenzialista di Fratelli d'Italia perl'assenza di due deputati di Forza Italia e Lega assomiglia in effetti all'Apollo 13 in caduta libera verso la Terra: solo che la Nasa allora riuscì a trovare la soluzione, mentre non c'è alle viste alcun vaccino per il virus politico che sta divorando una coalizione che, nonostante tutto, ondeggia ancora intorno al 50% nei sondaggi. «Non so quale sia il problema per cui questa proposta storica del centrodestra non è passata- ha causticamente osservato Giorgia Meloni- ma so che c'è sicuramente un problema». Appunto: l'incidente in commissione a Montecitorio è solo l'ultimo anello di una catena di errori, dispetti e cesure che hanno caratterizzato tutta questa legislatura, dalla diversa collocazione tra governo e opposizione inaugurata dalla Lega col governo gialloverde; alle risse da cortile su Copasir e Rai; fino alle vistose differenziazioni su vaccini e green pass. E quando i tre partiti maggiori hanno marciato uniti, come sul catasto, è stato un cespuglio - Noi con l'Italia - a dissociarsi. Solo alla prova della guerra, in definitiva, il centrodestra si è ricompattato con l'adesione di Fratelli d'Italia allo spirito di unità nazionale, nonostante le tentazioni neopacifiste di Salvini.
Nel frattempo, più le faglie si allargavano, più si moltiplicavano, inopinatamente, le ipotesi immaginifiche di partiti unici o di federazioni parlamentari, come se la politologia potesse sostituire la politica, come se in cerca di un'improbabile bussola si fosse smarrita la strada maestra: quella del Paese reale, che con la lunga crisi in atto, più che di fughe in avanti ha bisogno di bassa cucina. Disoccupati, cassintegrati, commercianti, artigiani, partite Iva e autotrasportatori aspettano ristori tempestivi, carburanti meno cari e bollette più leggere, non dibattiti sul sesso degli angeli. Ma il presidenzialismo non è solo una categoria del mondo delle idee: è una riforma invocata dal 70% degli italiani, sconcertati dalla gestione dell'ultima elezione quirinalizia, oltre che una battaglia storica del centrodestra. Per questo l'iniziativa di Fratelli d'Italia andava supportata, perché avrebbe dato un segnale preciso agli elettori sulla volontà di indirizzare la prossima legislatura verso un percorso costituente, nel segno di una coalizione in grado di presentare non solo un credibile programma di risanamento del Paese dopo la duplice crisi pandemica e bellica, ma anche un disegno strategico per ammodernare le istituzioni.
La riforma presidenzialista, peraltro, è perfettamente complementare al patto sul maggioritario siglato a Villa Grande dai tre leader del centrodestra. Invece si predica bene e si razzola male: ognuno sta infatti issando le proprie bandierine identitarie, cercando su ogni dossier più lo scontro che la condivisione, in una logica molto più proporzionalista che ispirata al principio di coalizione. Le amministrative sono alle porte, in uno scenario complessivo più di faida che di accordo, anche se nella maggioranza dei casi le intese locali alla fine si faranno, ma il nodo vero arriverà con le politiche del 2023 quando, indipendentemente dalla legge elettorale con la quale si andrà ai seggi, il centrodestra - dato vincente da tutti i pronostici rischierà di non avere né la compattezza politica né un credibile piano d'azione per governare l'Italia. Sarebbe un autentico autodafè, oltre che un formidabile assist a chi sta già lavorando per perpetuare nella prossima legislatura lo schema d'emergenza che ha prodotto il governo Draghi, con la divisione del centrodestra a quel punto eretta a sistema.
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