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Se lo smart working diventa un premio per i dipendenti statali

Fernanda Fraioli
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Da sempre, la logica, ma soprattutto le esperienze di vita a partire dai giochi dell’infanzia, fino alle aggregazioni sociali, passando per la scuola, ci hanno insegnato che chi non si comporta bene viene punito con l’esclusione dall’ambiente di interazione. In una parola, con l’espulsione, ancor prima di una ben più concreta sanzione fatta di conseguenze anche gravi e risolutive del rapporto.

Nel mondo del lavoro, poi, i trasgressori delle regole imposte a disciplina del rapporto, da sempre, sono stati sanzionati, nell’immediato, con la sospensione e, successivamente, con l’allontanamento.

La pandemia in atto ha avuto quale conseguenza anche quella di ridisegnare questo aspetto, almeno nel pubblico. E così, tra pagelle, piani organizzativi e lavoro agile, è arrivato il rientro in ufficio per i meno produttivi.

Dalle linee guida della Ministra della Funzione Pubblica, sembra filtrare proprio questo perché, dalle verifiche sulla produttività di tutta l’attività lavorativa – specialmente quella svolta in smart working che si prevede possa raggiungere anche il 60 % dei dipendenti pubblici – le verifiche saranno finalizzate a misurare la produttività ed a “punire” gli insufficienti, certificati tali dai brutti voti in pagella, a fare rientro in ufficio.

I c.d “Pola” – ovvero i piani organizzativi del lavoro agile da consegnare entro la fine di gennaio accanto a premi, ma anche a penalizzazioni fatte di rientri in sede – devono presumersi finalizzati a controllare de visu chi approfitta dello smart working per non lavorare. Ora che questa forma di lavoro, anche a pandemia risolta, sembra essere destinata a diventare il futuro, le misure di contrasto ai furbetti casalinghi andavano trovate.

Soprattutto perché nell’immediatezza del problema, in qualche modo, da affrontare onde far fronte all’incombente pandemia nella scorsa primavera, molti sono state le fughe dalle maglie inevitabilmente lasciate larghe dai provvedimenti presi al buio più totale delle possibili conseguenze. 

E così, da Palazzo Vidoni hanno ideato le linee guida che, a tal proposito immaginano “una programmazione fluida che preveda orizzonti temporali differenziati e obiettivi mensili, bimestrali e semestrali” per mettere un freno all’improduttività dei pubblici dipendenti di cui troppo, forse, si è favoleggiato.

Va, purtuttavia, detto che degli oltre 500mila statali che, a causa della pandemia, sono stati costretti a lasciare il proprio posto di lavoro, senza poter sceglier se farlo o meno, non tutti si sono comportati in modo deficitario.

Eppure, per non venir meno ad un’inveterata tradizione che vuole lo statale fannullone, qualcuno ha addirittura proposto una riduzione delle retribuzioni quale misura che, almeno idealmente, poteva fare giustizia di tutte quelle disparità di trattamento che la pandemia ha imposto a danno di chi un lavoro fisso non ce l’aveva.

Ora, bene, i controlli, bene le misurazioni, bene la valutazione delle performance, ma ci chiediamo: coloro i quali hanno mostrato il loro lato furbetto tra le mura di casa, nascondendosi dietro un internet debole, piuttosto che un computer obsoleto, obbligandoli a rientrare in ufficio diventano, forse degli infaticabili stacanovisti?

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