Conte vittima della vanità. Ma ora gli italiani sono stufi
Che avresti fatto al suo posto? Poverino, che colpa ne ha? Per difendere Giuseppe Conte – i pochi che ci provano – la buttano sul pietismo. Ma non si rendono conto della rabbia sociale che cova. Chi si aspettava l’abolizione della povertà ci sta finendo dentro e pure senza alcuna libertà di muoversi. L’errore di Conte – di qui la protesta che monta ovunque – è stato quello di inebriarsi. Vantarsi per risultati che non c’erano. Indicare un modello Italia inesistente. Non avere umiltà di fronte ad un popolo con cui scusarsi, quantomeno.
Non c’è solo il web a indicare una temperatura ben oltre i livelli di guardia. Se l’opposizione decidesse di calcare la mano, troverebbe terreno assai fertile. Nei bar, per strada, nei luoghi dove ancora si lavora, i commenti verso il governo sono durissimi. Perché non si è mai vista tanta confusione, se pure i tradizionali sostenitori della sinistra sono sbandati di fronte a regole incomprensibili. Lo sciagurato presidente del Consiglio che ci ritroviamo ha delirato sul Natale, i giorni, i colori delle Regioni, spostamenti, parenti, congiunti e persino le date di entrata in vigore dei suoi provvedimenti. È un popolo intero che si sente preso per i fondelli quello che non ce la fa più ad andare avanti.
Perché solo a botta fredda si ragiona – e ci si arrabbia – su quello che sarà un Natale in solitudine. Ma quante volte abbiamo sentito nei mesi scorsi tante persone dire «chiudete ora, altrimenti ci rovinerete le feste...». Detto fatto, a Palazzo Chigi invece hanno macchinato per derubarci il Natale. Festa Santa e deturpata. Come se non bastassero le scuole superiori chiuse da ormai un anno. Cinema e locali sbarrati. Negozi a ore. Gente costretta a stare in casa perché uscire diventa inutile. Economia allo sbaraglio. E quel che è peggio di tutti i nostri padri, i nostri nonni, chi ci ha messo al mondo confinati in solitudine. Ma quali auguri potremo mai scambiarci?
E di qui a qualche mese attendiamoci una crisi sociale terribile. Perché alla fine i nodi arrivano al pettine e altro che i forconi invocati anni addietro. Anche perché l’altro elemento di indignazione di chi soffre è rappresentato dalle chiacchiere che si fanno sui soldi dell’Europa. Che arriveranno a rate e chissà quando. Conte e i suoi soci fantasticano di centinaia di miliardi, ma non sono neppure capaci di mettere assieme qualche straccio di progetto che ci faccia immaginare che ci sarà un domani anche per il popolo italiano. No, litigano e basta. Con qualche seggiola contano di risolvere tutto. Ma si illudono. Perché la posta in gioco ora non è più solo quella di qualcuno dei ministri caracollanti sulle loro belle poltrone. È Conte quello che se ne deve andare. Mai come in questo momento la voce di Elisabetta Casellati, seconda carica dello Stato, nei confronti del premier è stata rappresentativa di una moltitudine di cittadini. Adesso tocca all’opposizione riuscire nell’impresa di buttarlo giù. A costo di promettere posti in lista agli scappati di casa terrorizzati dalle elezioni anticipate, ma liberateci dall’impiastro che ci governa.