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Potere e informazione, cosa c'è dietro il caso Lilli Gruber-Maria Elena Boschi

Riccardo Mazzoni
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Può apparire paradossale che nel giorno del voto in Parlamento sul Mes, con la (per ora) presunta crisi di governo alle porte, ieri siano fioccate decine di agenzie sul trattamento riservato a «Ottoemezzo» dalla conduttrice Lilli Gruber a Maria Elena Boschi, la cui partecipazione si è trasformata a tratti in un vero e proprio interrogatorio in cui mancava solo l’agente che verbalizzava. La Boschi se ne è lamentata con un tweet molto esplicito: «Quando cercavo di parlare di contenuti venivo sempre interrotta: per Lilli Gruber è più importante parlare delle mie foto che non dei 200 miliardi del Recovery Fund. Mi spiace per gli ascoltatori».

 

I social si sono subito scatenati sulla domanda del giorno, ovvero se sia stato giusto che la Gruber incalzasse l’interlocutrice, anziché sull’attualità politica, sulla colpevole circostanza di non aver indossato la mascherina nel servizio fotografico che la ritrae abbracciata al fidanzato. La stragrande maggioranza dei 15mila commenti su Twitter ha preso posizione per la capogruppo renziana: fra questi la ovvia batteria di Italia Viva schierata a difesa, esponenti vari del centrodestra e commentatori indipendenti, ma nessuna voce si è levata dagli altri parlamentari - e soprattutto dalle parlamentari - di maggioranza, che pure non perdono occasione per difendere il diritto delle donne in politica a parlare del merito e non della vita privata. 

Curioso, visto che nelle stesse ore un comunicato del Partito Democratico, per enfatizzare il ruolo delle donne nella società, ha coniato addirittura un orrendo neologismo, ringraziando «le militante e i militanti per aiutare le persone più fragili», come se «militante» fosse il plurale femminile di «militanta», roba da togliere il sonno all’Accademia della Crusca. Ma evidentemente c’è una scala di diritti che varia a seconda del momento e dell’opportunità politica. In molti, attraverso le foto di Arcuri e Travaglio a fare acquisti senza mascherina, hanno invitato la Gruber ad essere ugualmente implacabile con loro, ricordando però che il commissario straordinario è stato sempre trattato con i guanti bianchi e che il direttore del Fatto quotidiano è l’invitato speciale della trasmissione.

 

Ma, al di là della quotidiana guerriglia sui social, la chiave di lettura più azzeccata l’ha probabilmente fornita la politologa Sofia Ventura, che dopo aver visto la puntata di «Ottoemezzo» ha twittato: «Ora che Italia Viva disturba, o finge di disturbare, che sempre disturbo è, il governo Conte, la missione pare sia distruggerli. La Boschi è stata invitata a tale scopo». E, se questo è vero, allora il discorso si fa più serio, perché apre uno scenario preoccupante sull’uso dell’informazione televisiva, pubblica e in qualche caso anche privata, ai tempi del Covid e del governo rossogiallo.

Un’informazione totalmente prona al potere, che piega i suoi palinsesti alle dirette Facebook del premier nelle ore di massimo ascolto, che marginalizza le notizie scomode, che da Quarto potere è diventata insomma la Quarta colonna del governo in servizio permanente effettivo. E’ l’anticamera dello Stato autoritario, che non è incompatibile con la democrazia formale, ma attraverso una lettura univoca degli eventi tende a eliminare le diversità rispetto al pensiero unico. Questa deriva è in atto da tempo, con gli italiani che secondo il Censis sono ormai rassegnati a essere non più cittadini ma sudditi in nome della salute, e col tentativo di Conte di costruirsi una struttura parallela al governo per gestire i fondi del Recovery Fund. Ora che Renzi – dopo una serie infinita di penultimatum finiti nel nulla - pare essersi messo davvero di traverso, scattano le rappresaglie e gli avvertimenti preventivi, con la minaccia del voto anticipato rilanciata ossessivamente dai quirinalisti. Il caso Boschi non va enfatizzato, ma il diavolo si nasconde spesso nei dettagli: guai a disturbare il manovratore, e chi lo fa va subito messo in riga.

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