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Spese pazze e nessuna trasparenza. I misteri dei contratti di Arcuri

Franco Bechis
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Domenico Arcuri più ancora di Giuseppe Conte gode di quei pieni poteri che in Italia non ha mai avuto nessuno, nemmeno chi guidò la protezione civile all'epoca in cui contava qualcosa. 

A controllare quel che fa c’è ovviamente l’opinione pubblica, come è accaduto con il clamoroso flop della fornitura dei banchi scolastici che doveva essere ultimata prima dell’inizio dell’anno scolastico, che poi è stata rimandata a metà ottobre e che ad oggi non è ancora ultimata (a Roma ci sono prestigiosi licei che ancora attendono). È sul come esercita quei poteri che invece non c’è alcun controllo. Se dei contratti che ha stipulato la sua struttura commissariale provano a chiedere qualcosa a lui durante le conferenze stampa, non risponde e minaccia querele per la sola domanda. Se inchieste giudiziarie lambiscono come sta accadendo proprio le sue forniture, fa spallucce e non ritiene di dovere fornire alcuna spiegazione. Se con procedura prevista dalla legge si chiede un accesso ai contratti firmati, la risposta è sempre no, perché su ognuno di quei testi calano le nebbie per «ragioni di sicurezza nazionale». Sarebbe accettabile se tutto quel che fa Arcuri si basasse su fondi propri o fondi privati che di lui si sono fidati (altrimenti non li avrebbero versati). Ma nelle sue mani girano miliardi di risorse pubbliche, e non è più accettabile tanta opacità nel loro impiego. L’unica operazione trasparenza è quella contenuta in un sito Internet dove vengono elencati con la data di firma, il nome del fornitore, il numero di pezzi acquistati e il relativo prezzo i contratti della struttura commissariale sulla sanità.

 

Ed è proprio quelli che abbiamo preso in mano titolo per titolo confrontandoli l’uno con l’altro. Li pubblichiamo oggi nelle tabelle contenute in queste pagine che una volta in più sollevano interrogativi sulla gestione di Arcuri e sul modo di utilizzare senza spiegazioni logiche i soldi pubblici affidati alla sua struttura. Basta mettere in fila le forniture per capire come Arcuri faccia sempre fare il prezzo al fornitore e non vada mai alla ricerca di quello più basso che farebbe risparmiare un bel po’ di soldi pubblici.

 

Ci sono differenze abissali nella fornitura degli stessi identici dispositivi di protezione individuale, anche quando si tratta dei più semplici. Non divulgando i contratti non siamo in grado di conoscere le clausole che possono motivare questi prezzi così differenti per la stessa identica fornitura talvolta relativi addirittura allo stesso fornitore. Le mascherine chirurgiche acquistate dalla struttura commissariale ad esempio vanno da un prezzo a mascherina di 0,36 euro della FAB in un momento ancora critico per la scarsità del bene (il 17 aprile scorso) a uno clamoroso di 0,87 euro a pezzo relativo alla fornitura della Dienpi srl di Ascoli Piceno avvenuta per 1,2 milioni di pezzi il 7 luglio scorso quando ormai le mascherine chirurgiche erano disponibili in tutte le farmacie e supermercati di Italia. Ma non sono bassi i prezzi pagati per ogni mascherina alla Winner Italia (0,64 euro), alla Fater spa (0,60 euro), alla Wenzhou Moon-Ray import and export Ltd (0,55 euro) e alla Luokai Trade (Yongjia) co. Ltd (0,49 euro). Queste ultime due per altro sono finite nel mirino di una inchiesta della procura di Roma per la intermediazione milionaria fatta «illecitamente» da Mario Benotti, già stretto collaboratore di tre ministri del Pd. Si capisce in questo caso perché il prezzo è stato più alto della stragrande maggioranza delle forniture.

 

Lo schema è identico andando a spulciare altre forniture firmate dalla struttura di Arcuri: per le mascherine FFP2 i prezzi "strappati" ai fornitori vanno dall’euro secco della Bls srl ai 2,85 euro a pezzo della Winner Italia srl, passando per due prezzi diversi (2,16 e 2,20 euro) fatti dal solito fornitore cinese intermediato da Benotti: ancora una volta la Wenzhou Moon-Ray import and export Ltd. Il prezzo più alto è il triplo di quello più basso, cosa che non sarebbe mai potuta accadere con forniture tradizionali. Cosa non dissimile è avvenuta con la fornitura di mascherine FFP3, con prezzi che hanno oscillato fra i 3,4 euro questa volta ottenuti dalle due ditte cinesi in rapporto con Benotti ai 4,85 e 4,61 euro strappati in due tempi per ogni pezzo dall’italiana GVS spa.

Differenze sensibili e ovviamente inspiegabili se non si possono ottenere i contratti anche nella fornitura di tute di protezione batteriche. L’ultimo prezzo strappato alle Confezioni Falcon-Cieffe srl è il più basso: 8,83 euro a tuta. Non dissimile quello fatto dalla P&C srl: 9,85 euro a tuta. Ma è quasi il doppio quello pagato alla Rotay Ltd dalla struttura di Arcuri lo scorso 29 maggio: 17,9 euro. E ancora più alto quello concesso alla Macron spa il 18 maggio scorso: 23,55 euro a tuta. La stessa azienda per altro ha concluso altri due contratti per lo stesso tipo di fornitura con Arcuri il 21 ottobre e il 18 novembre e in entrambi i casi il prezzo era circa la metà di quello del primo contratto: 11,95 euro a tuta.

Siamo dunque in una prateria inesplorabile dove il bello e il cattivo tempo con i soldi degli italiani lo fa solo Arcuri, senza sentirsi in dovere di dare una sola spiegazione. Guai a chiederla: ti fulmina e parte con uno dei suoi celebri pistolotti che in qualche caso ha fatto pure in audizione davanti ai professori esterrefatti del comitato tecnico scientifico a cui stava spiegando il loro mestiere...
 

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