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Recovery fund, il premier Conte è peggio di Orban: basta ipocrisia

Francesco Storace
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La cosa più ridicola nella disputa su Viktor Orban e Recovery Fund è rappresentata dal cicaleccio italiano. Una sinistra che ha promesso mari e monti ulula contro i sovranisti nostrani perché «il loro amico Orban blocca i soldi». Di grazia, qual è il delitto nel veto ai fondi che mette assieme alla Polonia e, pare, anche alla Slovenia?

Si tratta di un piccolo dettaglio che si chiama libertà. Democrazia. Sovranità, appunto. E se vogliamo, anche spina dorsale. In Europa c’è chi si è inventato la questione dei diritti umani che in Ungheria e dintorni sarebbero calpestati. E la sinistra italiana – incapace di progettare come spendere quella massa di denaro in arrivo con comode rate annuali, parte in regalo parte in prestito – si accoda. Persino i Cinque stelle, che in realtà di queste cose capiscono abbastanza poco. E già fa ridere la protesta di Roma verso Orban. Siamo il Paese che fa le leggi elettorali diverse a seconda di chi governa. E passi. I nostri parlamentari sono per la maggior parte dei perfetti sconosciuti che nessuno sa di aver mai votato. E passi pure questa. Ci guida un governo senza alcuna rappresentanza popolare. E se vogliamo dirla tutta, a Palazzo Chigi c’è un esecutivo assolutamente minoritario nel Paese e anche nel rapporto con le regioni, che non sono proprio un pezzetto insignificante a livello istituzionale. Da noi non c’è Orban, ma Conte, un capo di governo senza un solo voto personale capace di cambiare schieramento e di guidare prima una coalizione poi quella opposta. Con programmi antitetici. Si rimprovera all’Ungheria il sistema giustizia, che sarebbe troppo vicino allo stesso Orban. Da noi ci ha pensato Luca Palamara a spiegare come funziona. Non certo al fianco del governo, ma anche dell’opposizione, purché in entrambi i casi utile al Pd e ai suoi fratelli e compari.

In Italia non si governa solo con leggi e decreti a colpi di voti di fiducia in Parlamento. Ma si negano diritti costituzionali con i Dpcm di Conte. E c’è da chiedersi con quale faccia tosta si possa imputare all’Ungheria il suo diritto a difendere l’interesse nazionale rappresentato da chi governa grazie al voto popolare e non a dispetto di esso, come invece succede in Italia. Quando si parla di Ungheria come di Polonia, i cantori nostrani dei diritti farebbero bene a procedere con prudenza, visto che si tratta degli eredi diretti – almeno nella parte più «sinistra» della maggioranza – delle dittature che la fecero da padrone in entrambi i paesi. E chi si ribellò ad esse non ha alcuna intenzione di ricascarci. In realtà, la «denuncia» della sinistra ha un solo motivo e sta nella gestione dei fenomeni legati all’immigrazione clandestina. Odiano Orban perché ha chiuso le frontiere, ha detto no al lassismo nei confronti dei migranti, difende i confini del suo Paese. Ed è l’esatto contrario di quel che avviene da noi dove va addirittura a processo un ministro come Salvini che voleva i porti chiusi come l’intero governo del resto (salvo poi ripensarci ipocritamente nella componente grillina di allora). Sono le trite e ritrite sceneggiate di partito, quelle contro la posizione di quei paesi, che servono solo ad abbindolare i gonzi suonando la solita grancassa propagandistica. Ma la verità sta a Budapest e Varsavia e non certo a Roma e Bruxelles. Che l’Italia possa dare lezioni di diritto a chicchessia con quello che succede dalle nostre parti è davvero inquietante. Prima ristabiliscano le ordinarie condizioni di una vera democrazia. Dove è il popolo a decidere e non il signor Giuseppi.

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