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Tasse per le case distrutte dal sisma. I terremotati pagheranno l'Imu

Alberto Di Majo
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Le case non ci sono più ma i proprietari dovranno pagare l’Imu nel 2021. Il governo s’è dimenticato dei terremotati dell’Italia centrale e non ha ancora prorogato lo stop fiscale per chi ha perso tutto (o quasi) nel sisma del 2016. Il decreto legge numero 189, approvato quattro anni fa, prevede infatti, all’articolo 48, la sospensione dell’imposta «fino alla definitiva ricostruzione o agibilità dei fabbricati stessi e comunque non oltre il 31 dicembre 2020». Quindi, a meno che l’esecutivo non approvi una modifica nelle prossime settimane, i proprietari delle seconde case dovranno pagare le tasse. Dovranno farsi carico anche di Irpef e Ires: l’esenzione dal loro reddito dei fabbricati totalmente o parzialmente inagibili, inserita nella legge di bilancio del 2019, non è più prevista.

C’è anche la beffa sulla Tv. I proprietari delle case fantasma dovranno pagare il canone Rai, che è stato sospeso dal 1° gennaio 2018 fino alla fine del 2020. E benché tanti cittadini siano in condizioni di difficoltà, rischiano anche di perdere i benefici per chi ha un reddito basso perché nel calcolo dell’indicatore della situazione patrimoniale (Isee) non saranno più esclusi gli immobili e i fabbricati di proprietà distrutti o dichiarati inagibili in seguito a calamità naturali (lo prevedeva l’articolo 1, comma 986, della legge di bilancio del 2019).

Ma non è tutto. I soldi per la ricostruzione dei comuni dell’Abruzzo distrutti dal sisma del 2009 ci sono. Quelli, invece, per i territori dell’Italia centrale, devastati dal terremoto del 2016, no. Nella legge di bilancio il governo ha previsto di stanziare 750 milioni per il 2021 e 770 per il 2022 per portare avanti i lavori per L’Aquila e gli altri territori rasi al suolo undici anni fa. Non solo. Sono già impegnati 1 miliardo e 230 milioni per gli anni successivi. In tutto Palazzo Chigi prevede un intervento di quasi 2 miliardi e 800 milioni. Per l’Italia centrale la situazione è molto diversa. Nella tabella degli stanziamenti allegata alla manovra economica c’è scritto: 0 euro per il 2021, il 2022 e il 2023. C’è un miliardo e 710 milioni ma per gli anni seguenti, dal 2024 al 2029.

Che ci sia qualcosa che non va lo notano anche i tecnici della Camera e del Senato che nel loro dossier sulla legge di bilancio analizzano prima le spese in conto capitale per rifinanziare gli interventi per la ricostruzione post-sisma in Abruzzo poi spiegano: «In un’ottica eccedente il triennio di riferimento, si segnalano i 1.700 milioni di rifinanziamento fino al 2029 sia per l’Agenzia spaziale italiana che per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 2016, anche se entrambe le voci presentano risorse aggiuntive nulle o comunque molto limitate fino al 2023». Un problema rilevante, visto che quel miliardo e settecento milioni servirebbe per terminare una serie di opere pubbliche, almeno 1.300, che già hanno accumulato molto ritardo (per la ricostruzione degli edifici privati sono già previsti più di 6 miliardi dal fondo della Cassa depositi e prestiti).

Lo stesso commissario alla ricostruzione dell’Italia centrale, Giovanni Legnini, ha chiesto che quei soldi venissero resi disponibili subito e avrebbe ricevuto rassicurazioni che, tuttavia, la manovra non conferma. Anche perché spendere risorse pubbliche continua a essere un’impresa piuttosto complicata. Proprio pochi giorni fa Legnini ha firmato un’ordinanza che ha ridefinito l’elenco delle opere, con alcune riprogrammazioni e l’inserimento di nuovi interventi. Dunque quelli attualmente previsti, compresi alcuni già realizzati, sono 1.288, una parte dei quali, 482, devono ancora essere avviati. Proprio per questo l’ordinanza ha stabilito che i Comuni e le stazioni appaltanti provvedano entro il 31 marzo 2021 all’affidamento di tutti gli incarichi di progettazione, ma che ancor prima, entro il 31 dicembre di quest’anno, trasmettano al Commissario un cronoprogramma dettagliato di tutte le fasi per la definizione dell’appalto e l’esecuzione delle opere. Anche se resta da sciogliere il nodo dei fondi previsti solo dal 2024.

Per il resto, le Regioni sono state invitate a individuare una Centrale unica di committenza, che potrà avvalersi del sostegno di Invitalia per la preparazione degli appalti, con la possibilità di identificare gli stessi Uffici Speciali della Ricostruzione come soggetti attuatori degli interventi. Le nuove regole del commissario, inoltre, danno attuazione a tutte le norme di semplificazione degli appalti contenute nei provvedimenti del governo, e disciplinano l’utilizzo delle economie derivanti dai ribassi d’asta, che vengono destinate alla realizzazione di nuove opere. Le risorse disponibili per le opere contenute nell’elenco sono così divise: 945 milioni per le Marche, 240 per il Lazio, 220 per l’Abruzzo e 216 per l’Umbria. Ma i soldi arriveranno?

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