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Ospedali già ko, Lazio tra le regioni peggiori. E la colpa è di Arcuri

Franco Bechis
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Da qualche giorno la Regione Lazio è ufficialmente in tilt nei suoi ospedali. Più della media italiana, come accade solo in altre cinque regioni italiane: Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Liguria, Lombardia e Piemonte. 

I malati di covid occupano il 51% dei posti letto nell’area «non critica» della rete ospedaliera nazionale, ma nel Lazio da circa tre giorni la percentuale è superiore: il 53% (identica alla Lombardia che è in zona rossa). Il dato pubblico fornito da Agenas è al 22 novembre, quindi comprende i ricoveri contabilizzati ieri, ed è come quello medio italiano altissimo: la soglia massima di occupazione dei letti per malati Covid nell'«area non critica» della rete ospedaliera italiana stabilita dal ministro della Salute Roberto Speranza in un decreto del 30 aprile scorso è infatti del 40%. Sopra quella percentuale si entra in «zona arancione» per gli ospedali. Sopra il 50% si è invece in zona rossa, e questo significa che ormai è estremamente difficile ricoverare in ospedale un malato comune, a meno di non inserirlo in corsia promiscua con un malato di coronavirus.

Questo purtroppo sta avvenendo in molti pronto soccorso e reparti di medicina generale, come hanno testimoniato le immagini recentemente trasmesse sia dalla trasmissione Piazza Pulita su La7 che dalle Iene su Italia Uno. Si sta correndo il rischio - che è una certezza - di amplificare i contagi per quella promiscuità. Per evitarla in questa situazione la sola alternativa che c’è è quella mostrata dalle incredibili foto che pubblichiamo oggi scattate all’interno del pronto soccorso Covid dell’ospedale romano Sant’Eugenio, trasformato in quella che definirei una «stalla per bestiame», perché altra definizione non saprei trovare per quell’ammasso di lettighe, più del doppio di quelle che dovrebbero essere in quegli spazi.

La situazione non è più allegra nelle terapie intensive: sono occupate da malati seri di Covid per il 43% dei posti letto, e qui il tetto stabilito da Speranza oltre il quale si è in sovraccarico è il 30%. Il dato è anche qui diverso nelle varie Regioni: il Lazio è al 35%, la Liguria al 54%, l’Umbria al 59%, il Piemonte al 63%. Ma attenzione: il 43% di terapie intensive occupate da malati Covid, non significa che sia libero il restante 57% dei posti letto. Anzi. Con quelle cifre i posti liberi potrebbero essere pochissimi, perché in terapia intensiva finiscono malati di cuore, pazienti colpiti da ictus, malati di tumore, vittime di gravi incidenti stradali o domestici e altri ammalati. E ovviamente non possono trovarsi a fianco di un malato di coronavirus, altrimenti si contagerebbero con rischio altissimo della vita. Quindi dove un posto in terapia intensiva è occupato da un malato non Covid, tutto il reparto non è disponibile per chi ha bisogno di essere attaccato ai respiratori essendo contagiato in gravi condizioni. Il sistema ospedaliero sta dunque barcollando pericolosamente.

Perché questo accade? Semplice: perché non è stato messo in sicurezza da chi avrebbe dovuto farlo, il commissario straordinario all'emergenza sanitaria, Domenico Arcuri. Che non ha fatto quasi nulla di quel che avrebbe dovuto per lunghi mesi, e ora si trincera dietro muri di parole vuote o incomprensibili nelle varie trasmissioni televisive che lo ospitano. Come è accaduto a Porta a Porta con Bruno Vespa, o da Fabio Fazio, quando con la sua consueta sicumera ha sentenziato una supercazzola: «l’entropia delle terapie intensive non c’è. Non c’è nemmeno l'entropia degli ospedali». Non ci sono i posti letto necessari, e nemmeno i medici e gli infermieri senza i quali sarebbero inutili, questo è certo. Che poi ci sia o meno l’entropia che piace tanto ad Arcuri è poco importante: quella parola in questo contesto non ha alcun tipo di significato, è un concetto che ha significati diversi in termodinamica o nella meccanica quantistica, ma nessuno sullo stress che stanno vivendo gli ospedali sia in terapia intensiva che nei reparti di medicina generale o pneumologia. 

Arcuri sostiene di avere realizzato 10 mila posti in terapia intensiva, raddoppiando quelli che c’erano. È un falso conclamato, smentito da qualsiasi autorità regionale che sovrintende alla rete ospedaliera e contraddetto da decine e decine di immagini girate da medici, infermieri e in qualche caso da troupe televisive negli ospedali italiani. Smentito pure dalle gazzette ufficiali e dai bollettini regionali che solo da qualche giorno stanno pubblicando i primi bandi per l’allargamento delle terapie intensive e la messa in sicurezza della rete ospedaliera spendendo i primi milioni che vengono da quel miliardo e 400 milioni messo a disposizione da Speranza nel mese di maggio. Quello stanziamento che serviva ad aumentare davvero i posti di terapia intensiva in modo strutturale non ha prodotto fin qui un solo posto in più attrezzato di tutto quel che serve, anche perché solo il 2 ottobre scorso Arcuri ha pubblicato il bando diviso in 21 lotti territoriali per la progettazione e la realizzazione di quei reparti. Nella migliore delle ipotesi i primi posti ci saranno nella primavera inoltrata 2021 quando probabilmente il contagio inizierà ad affievolirsi come avvenuto quest’anno ai primi caldi di stagione. 

Solo adesso e per scritto alle Iene Arcuri ha fatto inviare dal suo ufficio stampa un comunicato che svela il grandissimo bluff suo e del governo, spiegando che per la realizzazione delle nuove terapie intensive «la durata media per il loro completamento è di 27 mesi (cioè 2 anni e 3 mesi). Quella massima di 72 mesi (cioè 6 anni). Per effettuarli occorrono progettazioni, lavori e ristrutturazioni che nulla hanno a che fare con i tempi dell'emergenza». Bene, ma sia lui che Speranza dopo che furono stanziati quei 1.400 milioni a questo scopo, dissero che grazie a quelli sarebbero raddoppiate le terapie intensive, senza mai dire che questo sarebbe avvenuto fra 3 o 5 anni. Ora si dice che i nuovi posti di cui ci si vanta non sono posti fissi, ma ricavati in emergenza. Questo è in parte vero: li hanno ricavati come a marzo gli ospedali occupando perfino le sale operatorie per questo. Qualche posto in più c’è così. Secondo i medici e gli anestesisti sono 7.500, non i diecimila di Arcuri che indignano pure loro. Avere inviato un ventilatore non significa realizzare una terapia intensiva, nemmeno in emergenza: servono un letto, un attacco per l'ossigeno, cinque o sei prese elettriche intorno al letto, altra strumentazione e un medico e due infermieri ogni postazione. Non c’è nulla di tutto questo.
 

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