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Gli ospedali ormai sono in tilt ma Conte perde tempo

Franco Bechis
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Hanno litigato tutto il giorno presidenti delle Regioni e governo centrale presieduto da Giuseppe Conte e così anche ieri è saltato il nuovo dpcm che da qualche giorno era annunciato. Forse verrà firmato oggi dal premier, ma non possiamo metterci la mano sul fuoco. Nella nuova bozza arrivata ieri la sola novità rispetto a quelle che avevamo raccontato è nell'orario del coprifuoco nazionale: non più le 21, ma le 22 anche se non se ne capisce la ragione, visto che la sera tutti i locali di Italia sono chiusi. 

Semplicemente si potrà andare a cena a casa di qualcun altro senza perdersi troppo in chiacchiere, e poi prendere il digestivo a casa propria perché tempo anche per quello non ne resterebbe. Visto che non c’è alcuna ragione scientifica per un coprifuoco, come non ce ne era alcuna per la chiusura serale di ristoranti, cinema, teatri e locali vari e che lo scopo del governo era quello di ridurre le occasioni di incontro e socialità un po' a caso, questa piccola breccia lascerà ancora aperta la possibilità di varare un successivo dpcm magari la settimana successiva per arricchire la collezione personale di Conte disorientando un po' di più gli italiani. Vorremmo scherzarci su, ma non è possibile. Ieri l'Italia ha contato altri 353 morti per coronavirus, e nella giornata è stata il secondo paese del mondo per letalità rispetto alla popolazione dopo la Francia. Ci sono stati più ricoveri anche in terapia intensiva, dove l'occupazione è salita a 2.225 posti e in alcune zone di Italia la situazione è già al limite. Il dramma è proprio in questi numeri, che diventano ancora più allarmanti se si guardano i dettagli: sopra i 70 anni se si entra in terapia intensiva si ha solo il 50% di possibilità di uscirne vivi, perché l'altra metà non ce la fa.

In molti ospedali di Italia c'è la fila delle ambulanze per giorni perché non ci sono posti liberi per il ricovero: accade quotidianamente anche a Roma e nel Lazio. L'emergenza - l'unica emergenza - è solo questa: quella sanitaria. Non ci sono posti letto a sufficienza nelle terapie intensive ma anche per casi meno gravi nelle terapie sub intensive e nei reparti ordinari Covid. Il sistema sanitario italiano non è stato attrezzato per la seconda ondata, e dove l'emergenza è più acuta si corre ai ripari come si può: gli ospedali attrezzano i posti necessari dove ci sono infrastrutture per le cure, come nelle sale operatorie chiuse e trasformate rapidamente in reparti per curare i malati di coronavirus. È chiaro che è stato perso tempo preziosissimo in questi mesi, ma l'urgenza ora è di fare il possibile per risolvere l'impreparazione della rete ospedaliera, cercando anche soluzioni di fortuna, richiamando in servizio medici e infermieri anche dalla pensione, ricorrendo agli ospedali da campo e al personale militare dove non c'è altra soluzione e provando a fare morire meno italiani possibile. La sensazione però è quella di non avere una classe dirigente all'altezza della situazione. Ieri mattina mi è salita la rabbia partecipando a una trasmissione televisiva dove due esponenti politici, uno del M5s e l'altro della Lega hanno passato il tempo a rinfacciarsi le responsabilità reciprocamente. Il primo sosteneva che la colpa di questa impreparazione nell'affrontare l'emergenza fosse tutta delle Regioni, l'altro replicava con la tesi opposta. È come se di fronte alla distruzione di un terremoto appena capitato con la gente sepolta e forse ancora viva sotto le macerie i soccorritori stessero lì a litigare se questo o quel palazzo avrebbe potuto resistere a quell'urto invece di rimboccarsi le maniche e farsi strada fra le pietre per salvare qualcuno.

Nei mesi che hanno preceduto questa nuova drammatica ondata il presidente del Consiglio si pavoneggiava di essere stato d'esempio in tutto il mondo su come si affronta la pandemia. I presidenti di molte Regioni hanno fatto la stessa cosa, vantandosi dei risultati ottenuti nella prima fase: «Qui la gente non si è ammalata, abbiamo avuto meno morti degli altri». Oggi il governo italiano è alle corde con la seconda ondata balbettando soluzioni alla rinfusa al contrario di quel che avviene in altri paesi, e proprio quei presidenti di Regione pavoni sono quelli più in difficoltà. Non abbiamo una classe dirigente all'altezza, e se ne usciremo vivi avremo tutto il tempo di rinfacciarglielo e anche processare i responsabili del disastro. Penso che la responsabilità più grande di questa emergenza sia del governo Conte, perché alle Regioni ha tolto gran parte dei poteri dichiarando lo stato di emergenza e nominando un commissario straordinario all'emergenza sanitaria con pieni poteri: quel Domenico Arcuri che quando ha capito di non averne azzeccata una ha riceduto gli stessi poteri alle Regioni. Ma era il 14 ottobre, maledettamente tardi. Ieri davanti alle richieste delle Regioni di decidere loro restrizioni e lockdown, il governo le ha zittite e si è preso di nuovo come sempre ha fatto i poteri. Quindi non è concesso a Conte lo scaricabarile quando fa comodo.

Però non è questo il momento della polemica, semmai quello del pungolo al governo perché si muova in fretta e in modo meno confuso per proteggere la vita degli italiani evitando nuove vittime, e non intervenendo solo dopo che la curva dei deceduti è salita. Si prenda fino in fondo le sue responsabilità, e chiuda quel che deve essere chiuso risarcendo immediatamente (indennizzi, non ristori) le attività che perdono fatturato. I soldi si possono trovare, e semmai si rinuncia a fare altro che serve solo alla propaganda. Trovo incredibile che in questa situazione si mantengano ad esempio gli sconti fiscali promessi (il cuneo) quando i soldi servono ad altro. Nessuno è stato all'altezza di quello che stiamo vivendo. Si provi a farlo ora.
 

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