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Parlano i documenti, De Micheli e Azzolina il prossimo lockdown è colpa loro

Francesco Storace
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Guardatele bene, quelle due. Sono l’oggetto della contesa e la concausa dei nostri guai. La sinistra vuol fare fuori Lucia Azzolina senza dirlo troppo forte; i Cinque stelle rispondono col baccano contro Paola De Micheli. Il bocconcino su scuola e trasporti fa gola a tutti e pazienza se gli italiani dovranno beccarsi il lockdown prossimo venturo soprattutto a causa delle due ministre colabrodo. Impossibile dimenticare le comparsate televisive di Giuseppe Conte, da poco riemerso sui teleschermi. E indimenticabili i riferimenti del premier alle valutazioni dell’irriducibile comitato tecnico scientifico che ha chiamato a combattere il coronavirus con tanto di ricette per il governo che le tollera a fasi alterne.Ma proprio la Azzolina e la De Micheli sono state l’emblema del rifiuto a seguire le indicazioni scientifiche partorite per evitare danni. Ormai lo hanno capito tutti che il problema principale è la circolazione dei virus sui mezzi di trasporto e di qui alla scuola. Se ne sono fregate altamente.

Basta leggere che cosa ha detto ieri al Corriere della sera Agostino Miozzo, che del Cts è coordinatore: “Dal 18 aprile chiediamo di utilizzare ogni misura per ridurre i picchi di utilizzo del trasporto pubblico”. Serviva per le scuole, “a tenerle aperte e adattare il sistema a questa esigenza”. Siamo andati a leggerli, quei verbali e quello del 26 agosto andrebbe sventolato sotto le faccine di governo, che ancora adesso insistono nelle loro intollerabili prese di posizione. La Azzolina ha detto di tutto, ma ieri si è distinta Paola De Micheli, che ha assicurato che l’utilizzo dei trasporti pubblici, nell’ultima settimana, è sceso al 50 per cento della capienza. Una straordinaria miscela di ore di punta messe insieme a quelle in cui sui bus non sale praticamente nessuno. Non si rende conto, la ministra dei trasporti, che nemmeno il suo predecessore Danilo Toninelli sarebbe potuto arrivare a declamare frescacce del genere.

Eppure, bastava dar retta esattamente alle indicazioni del Cts. Proprio da aprile “il Cts rimarcò come l’intero sistema di trasporto pubblico – lo si ricorda nel verbale di fine agosto, carta canta e villan dorme… - dovesse essere considerato un contesto a rischio di aggregazione medio alto, con possibilità di rischio alto nelle ore di punta, soprattutto nelle aree metropolitane ad alta urbanizzazione”. Va aggiunto altro? Questi i pericoli, dicevano gli scienziati che non hanno convinto i ministri: “Alto numero di persone concentrate in spazi limitati con scarsa ventilazione; mancanza di controllo degli accessi per identificare soggetti potenzialmente infetti; contatto con superfici potenzialmente contaminate in quanto comunemente toccate (distributori di biglietti, corrimano, maniglie ecc.)”.

 

 

Che fare dunque? “Mettere in pratica la riorganizzazione efficace del trasporto pubblico”. E “valutare, per le scuole secondarie di secondo grado dei grandi centri urbani una differenziazione dell’inizio delle lezioni al fine di contribuire alla riduzione del carico sui mezzi nelle fasce orarie di punta, tra le 7 e le 8,30”. Risultato: tra ministeri e regioni ciascuno ha fatto come gli pare. E la capienza dei bus? Altro che l’80% deciso dalla De Micheli. Ecco che cosa diceva il Cts. “Solo in situazioni di assoluta necessità”, potrebbe “prendersi in considerazione un indice di riempimento fino ad un massimo pari al 75% della capienza omologata del mezzo di trasporto”. Capito? Invece la regola è diventata l’80 per cento che nessuno è in grado di controllare e hanno mandato i nostri figli al massacro sugli autobus, portando il virus in giro a scuola e poi a casa. C’erano prescrizioni precise sull’uso delle mascherine, sull’incremento dei mezzi di trasporto “anche attraverso il ricorso a soluzioni di contingenza”, si sollecitava l’”aumento delle corse dei mezzi di trasporto pubblico”, la “riorganizzazione degli orari di ingresso e di uscite delle scuole” e anche delle attività produttive. E ancora: “Percorsi di salita e di discesa separati e differenziati per ciascun passeggero”. E tante altre utili direttive.

Nulla di tutto questo è stato preso in considerazione. E ora comincia persino la campagna propagandistica contro le regioni: “Gli abbiamo dato 300 milioni per il Tpl, ne hanno spesi 120”. Bene, giusto, diteci chi è mancato da Zingaretti in giù, ma rendiamoci conto che sono briciole quando spendi 120 milioni per il bonus monopattini. Sono stati incapaci a partire dal governo, a partire dalla Azzolina e dalla De Micheli. La loro inadeguatezza è palese a tutti.  Se Conte proclama il nuovo lockdown ricordiamocene.

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