Parla l'ex ministro Antonio Guidi: "Vi racconto com'è lottare con il Covid"
L'ex ministro del governo Berlusconi: "Sono stato ricoverato allo Spallanzani. Ho rischiato di morire in isolamento psicologico"
Il problema del Covid è «dopo e non durante». Se sopravvivi alla malattia. Quando tenti di tornare alla vita di prima. È quello il momento della fragilità, quando fai i conti con te stesso. Lo racconta a Il Tempo, Antonio Guidi, ex ministro di Silvio Berlusconi ed ora in convalescenza dopo la degenza di due settimane allo Spallanzani.
Anche lui raggiunto dal coronavirus. E non ha perso la sua ironia: «È un virus democratico, colpisce anche i disabili...». Ha dunque ragione chi collega i disabili alle persone più a rischio malattia? «Non generalizzerei, hanno problemi di disabilità anche i non vedenti, per esempio, ma non è questo che li espone al Covid. Il problema è più grave per chi ha problemi motori, non renderemmo un servizio a chi si occupa della cura e a chi si preoccupa per la malattia se ragionassimo per automatismi».
Un colpo di tosse – «ma non è Covid», dice sorridendo – e ricomincia. Guidi vuole parlare, con grande lucidità, del «disagio psicologico di ciascuno di noi, contagiati e non». E prosegue. «C’è un doppio livello di disagio. Il primo sta nella parziale imprevedibilità del virus, Covid ha ridotto persino le certezze, basti pensare al rapporto con i nostri figli dopo tutto quello che è stato detto dei ragazzi. Li hanno dipinti come untori dentro casa». E poi, la rabbia verso «una politica governativa totalmente parolaia, contradittoria, legata al vantaggio mediatico del momento. Un’ora di celebrità e via». Esempio? «Beh, quello che è successo per la scuola è demenziale. Abbiamo assistito per mesi ad una fiera, e non si faceva quel che si doveva fare. Hanno perso tempo con i banchi a rotelle e i concorsi che non dovevano essere autorizzati allo svolgimento». E che cosa si sono dimenticati? «La cosa più sensata: organizzare i tempi di trasporto collettivo, bisognava pensarci subito. A me sembra sia mancata più la programmazione che le risorse».
«E poi...» e poi? Guidi è netto e parla spesso della condizione psicologia delle persone. «Leggeteli i dati, vanno a ruba gli psicofarmaci e le cure, aumentano i suicidi. La forma mentale del Paese è sotto il livello di guardia».
Il racconto della degenza emoziona. Perché si può solo immaginare un leone che ha combattuto tutta la vita, fermo in un letto d’ospedale. Solo. «Sì, tutto è cominciato il 3 settembre, quando una mia assistente è scoppiata a piangere: aveva la sorella positiva al test del coronavirus. Dopo poco una settimana è toccato a me e il 14 settembre sono stato ricoverato allo Spallanzani. Stavo davvero male. Non ho avuto mai problemi di respirazione nella mia vita. Nei limiti posti dalla mia disabilità sono anche riuscito a praticare sport, a nuotare, e improvvisamente mi mancava il fiato come mai avevo provato. La situazione volgeva davvero al brutto. Mi portano a fare la tac, polmonite doppia, e poi messo sotto ossigeno. Fino al 29 settembre, quando finalmente sono uscito. Ancora positivo ma potevo continuare da casa il percorso di guarigione». E lì i due tamponi negativi a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro.
Che cosa si prova, è la curiosità che ci porta a fare una domanda banale e chi è appena uscito dal male del momento in tutto il mondo. «Sono appassionato di fantascienza, ma non avrei mai potuto immaginare quel che accadeva. Sofferente e solo in una stanza. Vedevo le infermieri e i medici solo dai loro occhi. Ho vissuto il distanziamento psicologico». «Posso dirlo?». Prego. «Ecco, la percezione del pericolo, questo è quello che ho vissuto. Non ero morto, ma poteva succedere». Terribile, soprattutto se si avverte la solitudine. «Ho inventato una soluzione. Con l’I-phone. Un video collegamento costante con la mia famiglia, Maria Giovanna, i figli. Solo così evitavo l’isolamento che ti opprime».
E finalmente il ritorno a casa. «Sì. Bene in salute, ma pessima la condizione motoria per via dell’immobilità a letto. Difficoltà per ricominciare a camminare, se posso dirlo». Torna l’ironia...
E perché il «dopo» è peggio del «durante»? «La malattia è molto peggiore di quanto si dica, ti lascia come uno spezzatino, hai superato il pericolo ma stenti a riconoscere il tuo corpo. Rivedevo gli amici, mi emozionavo, tendevo a commuovermi, ecco la fragilità». «La difficoltà a muovermi è stata terribile. Ne parlai due o tre giorni dopo con il primario che mi aveva seguito e la risposta fu dura: Non mi stupisce, lei ha rischiato di morire». Ma l’assistenza com’è stata allo Spallanzani? «Ottima». Riecco Antonio Guidi, 75 anni ancora ben portati.