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Zingaretti ha fatto fessi pure i terremotati

Augusto Parboni
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«Gli abbiamo offerto l’aranciata, la coca cola, qualche patatina». E poi di nuovo buio. Quel giorno di luglio si era accesa la speranza per le cinque famiglie invitate all’inaugurazione della palazzina di San Cipriano, la prima ad essere terminata ad Amatrice. Un momento atteso per quattro anni. Una gioia durata appena pochi minuti. Perché dopo il taglio del nastro da parte del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, tutto è tornato come prima.

C’era il sindaco, il vescovo, le istituzioni regionali. E quelli che sarebbero dovuti essere i veri protagonisti della storica giornata: gli amatriciani, le persone che hanno perso la casa dove hanno vissuto tutta la vita. Ma quando le telecamere si sono spente i condomini sono stati costretti a tornare nei moduli abitativi, gli stessi dove hanno vissuto negli ultimi tre anni, dopo aver anche passato alcuni mesi in tenda. 
«Zingaretti è entrato anche dentro casa mia - ricorda l’inquilino del pian terreno - ha fatto un giro, abbiamo brindato, l’emozione è stata enorme. La mia vicina di casa si è anche commossa, ha pianto. Credevo che ormai fosse fatta. Finalmente ero a casa mia. E invece dopo due mesi ancora non sappiamo quando rientreremo nell’appartamento da cui siamo scappati quando la terra ha iniziato a tremare».
Quel giorno di terrore non lo dimenticheranno mai. Ma guardano al futuro. E le case ricostruite sono il simbolo tangibile della rinascita, un primo passo verso una normalità perduta tanto tempo fa. Per questo la festa organizzata in occasione della consegna delle chiavi delle prime abitazioni aveva anche un valore simbolico importante. Ma qualcosa è andato storto.

 

La palazzina di tre piani che la Regione Lazio ha «inaugurato» è adiacente a un edificio che ancora deve essere demolito. Dista appena pochi centimetri dallo stabile inaugurato a metà luglio ma mai realmente consegnato.
«Manca ancora il decreto della Regione per la demolizione - spiega l’amministratrice del condominio completato - abbiamo le mani legate». Eppure gli amatriciani pensavano che lo stabile «inaugurato» sarebbe stato pronto per essere abitato dalle cinque famiglie scappate alle 3,36 del mattino del 24 agosto 2016. Così non è stato. In questi anni hanno vissuto nelle tende, hanno chiesto ospitalità ad amici e parenti, sono andati nei diversi moduli abitativi. Qualcuno non vede l’ora di tornare. Per altri il ricordo di quella notte è cosi traumatico da far venire i brividi a chi ogni tanto va a visitare quella che un tempo era la propria casa. Per questo adesso alcuni non hanno intenzione di tornarci ripensando a quel 24 agosto. Comunque adesso il palazzo a San Cipriano c’è. È praticamente pronto, anche se mancano ancora i contatori, non c’è l’acqua, non c’era neanche a luglio quando Zingaretti ha brindato in occasione dell’inaugurazione. È stato speso circa un milione di euro per ricostruirlo e metterlo in sicurezza. C’è il cappotto termico, ci sono i pannelli solari, infissi di qualità, l’impianto di riscaldamento di ultima generazione e anche i pavimenti. C’è la luce e la fogna. Manca l’acqua: «L’azienda ci ha chiesto i soldi e prima di montare i contatori dobbiamo pagare», spiega l’amministratrice sottolineando le diverse spese che gli amatriciani sono costretti a sostenere per rientrare nelle loro case.
I lavori in quello stabile a San Cipriano sono iniziati nell’agosto 2019. E sono terminati 9 mesi dopo. O almeno così pensavano i condomini. Il Covid-19 ha rallentato i lavori ma alla fine di giugno gli hanno comunicato che tutto era praticamente pronto. Così poche settimane dopo è stata organizzata la cerimonia di consegna della chiavi con tanto di politici e istituzioni locali.
«A me le ha date il Presidente Zingaretti - dice uno dei condomini - l’emozione è stata veramente tanta, e chi ci credeva più». Dopo aver bevuto qualche bevanda e aver visitato un paio di case il Presidente Zingaretti si è allontanato. Le telecamere si sono spente. E gli amatriciani sono tornati alle loro vite e ai loro moduli abitativi. Hanno dovuto riconsegnare le chiavi perché occorre lavorare ancora sulle palazzine adiacenti. Hanno partecipato a una recita, sostengono i condomini, poi i riflettori si sono spenti, il sipario è stato chiuso. Zingaretti è andato a Roma. E così tutto è tornato come prima.

La sera le luci delle case dei moduli abitativi si sono riaccese. E i condomini sono tornati a sperare di poter rientrare il prima possibile nelle loro case. I moduli abitativi sono accoglienti, ben arredati, lontano dalla polvere di un cantiere che lavora continuamente sulle macerie di quello che un tempo era uno dei borghi più belli d’Italia. «Manca poco, ci speriamo», dicono. Da quei moduli prima o poi i più fortunati riusciranno a uscire. «L’idea è quella di ridare al Comune le casette», spiegano.
Le tende alle finestre, l’orto in giardino, un tavolo e due chiacchiere con i vicini. I «lotti» sono stati arredati, tutto è diventato «normale». Ma non lo è. Gli amatriciani si sono affezionati ai prefabbricati che li hanno accolti ma basta fare un giro in paese per ritornare indietro di quattro anni. Le crepe nelle case, le macerie accatastate, i resti delle esistenze di chi è scappato nel cuore della notte. Comuni devastati che non sono catalogabili come «fantasma».
I ristoranti ricostruiti in legno, i centri commerciali, i pochi locali vengono visitati da migliaia di persone che partono da tutto il centro Italia per trascorrere una giornata in uno dei luoghi simbolo della rinascita. Una parola che è stata usata proprio per dare il nome a uno dei tanti ponti che sono crollati: il «Ponte della Rinascita» ha riunito gran parte delle frazioni intorno Amatrice. Che vuole e sta rinascendo. 
 

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