Così D'Amato ha beffato i giudici
La Corte dei Conti rischia la beffa dall'assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato. Perché difficilmente l'uomo politico che non l'ha fatto in tutti questi anni metterà mano al portafoglio insieme ai suoi ex tre colleghi nel mirino per restituire i 275mila euro di contributi regionali distratti alla onlus pro Amazzonia a beneficio della propria campagna elettorale. E quando allora non resterebbe che procedere al pignoramento dei beni personali i magistrati contabili avrebbero una amara sorpresa. Non che sia nullatenente l'assessore (uno stipendio lo prende), ma i suoi beni sono stati sottratti ad azioni esecutive proprio nel bel mezzo della bufera giudiziaria. Quando era stato rinviato a giudizio, poche settimane dopo la lettera della Corte dei Conti alla segreteria di Nicola Zingaretti in cui si chiedevano lumi su cosa stesse facendo la Regione per riavere indietro quei 275 mila euro, l’accorto D’Amato è andato a mettere in salvo i suoi beni per sottrarli ad eventuali azioni esecutive e possibili pignoramenti. Ha bussato alla porta del notaio romano Rita Paolillo, titolare di uno degli studi più importanti della capitale che collabora con il Tesoro anche nelle vendite immobiliari, e si è fatto studiare da lei una blindatura perfetta. Il verbale depositato all’Agenzia del Territorio recita così: «Atto fra vivi - costituzione di fondo patrimoniale». Ed è proprio lì dentro che ha rinchiuso il villino di 6,5 vani in quel di Labaro (nei pressi di Prima porta a Roma) e il box auto che aveva acquistato anni prima con un mutuo di Banca Sella ormai estinto. L’immobile di esclusiva proprietà di Alessio - appartamento ai piani interrato, terreno e primo e relativo box auto - è stato conferito al fondo patrimoniale costituito con la dolce metà Stefania, con cui «aveva contratto matrimonio in San Felice Circeo in data 13 ottobre 2012 avendo in detta sede scelto il regime di separazione dei beni». Nell’atto è scritto che «i coniugi Alessio e Stefania dichiarano di volere costituire un fondo patrimoniale destinando ai bisogni della famiglia» quegli immobili. Una blindatura che spesso scelgono gli amministratori pubblici proprio per non essere chiamati a fare fronte a cause e risarcimenti con i propri beni personali. Come spiega la rivista stessa dei notai infatti «il principale effetto giuridico della costituzione del fondo patrimoniale è l’impignorabilità dei beni in esso ricompresi. In base all’art. 170 del codice civile i creditori di entrambi o di uno solo dei coniugi non possono sottoporre a pignoramento i beni del fondo, a meno che il debito sia stato contratto proprio al fine di soddisfare i bisogni della famiglia. Si tratta di un importante effetto giuridico che ha fatto sì che il ricorso al fondo patrimoniale sia stato utilizzato come espediente per sottrarre i beni alle azioni esecutive dei creditori, salvaguardando il proprio patrimonio».
"D'Amato riferisca in Aula". La Lega vuole vederci chiaro
Con quell’atto i magistrati della Corte dei Conti di fatto si troveranno nell’impossibilità di azioni esecutive nei confronti dell’assessore di Zingaretti. Anche perché l’unico altro bene - curioso - che D’Amato abbia posseduto in via era una quota di capitale di una società di Formello, «Bi.al. - I sapori della natura», che aveva per oggetto sociale «il commercio, la trasformazione, il confezionamento e la distribuzione di prodotti alimentari di qualsiasi genere e natura, freschi, conservati e comunque preparati e confezionati», nonché l’apertura di negozi per venderli. La sua quota in quella società fu però ceduta per metà a un certo Antonio Zucchetti e per l’altra metà alla signora Stefania che anni dopo sarebbe divenuta sua moglie. Resta un mistero cosa volesse fare D’Amato con la frutta e verdura proprio mentre coltivava ben altre ambizioni politiche, e pure che fine ha fatto quella società di cui si sono perse le tracce e non risulta al registro della Camera di commercio né la chiusura o la liquidazione volontaria. In ogni caso quel che ancora ci fosse non sarebbe attaccabile dai magistrati contabili, che così si devono rassegnare: quei 275 mila euro che ritengono illecitamente sottratti alle casse regionali, difficilmente torneranno indietro...