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Non solo la De Micheli: ecco tutte le follie "ciclabili" del Pd

La fissazione della bicicletta. Ma poi nessun progetto viene portato a termine

Pietro de leo
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La pista ciclabile, ovvero, feticcio di questa nuova sinistra green, nella nuova ideologia impreziosita dall’apporto indispensabile di Greta Thunberg (per quanto oggi appannata). E siano pedali, caschetti, sole soprattutto sostenibilità. L’ultimo capitolo è nel lancio sui social del ministro alle Infrastrutture e Trasporti Paola De Micheli, Pd. Argomento, il Ponte sullo Stretto, oramai obiettivo gettonatissimo nella fantasia dei governanti attuali. Ebbene, la titolare del Mit ha addirittura annunciato una «commissione per capire qual è lo strumento migliore per collegare la Sicilia alla Calabria. Per collegarle su ferro, su strada e con una pista ciclabile».

Superando dunque Conte, che vorrebbe un tunnel, in suggestione dei progetti (andare in bici sottoterra non è granché). E progetti grandiosi a due ruote sono una costante del racconto di questo governo. E così Dario Franceschini, altro dem nell’Esecutivo, qualche mese fa in un’intervista al Corriere della Sera ragionava: «Da Pesaro a Termoli c’è una vecchia linea ferroviaria che danneggia 500 km di costa passando a pochi metri dal mare. Proviamo a pensare a un’alta velocità spostata all’interno, a fianco dell’autostrada». Qui poi, arriva il colpo da maestro, con l’evocazione della «vecchia linea che diventa la più lunga e incredibile ciclabile d’Europa sul mare, cucendo tra loro decine di località balneari».

Anche gli alleati al governo, gli alfieri del M5S, tuttavia, si difendono bene, sia nella loro versione prima maniera sia in quella attuale. Nel 2013, per esempio, quando i pentastellati erano strane creature spedite dalla democrazia nelle Camere, fecero scalpore le parole di tal Roberto Cotti, sardo, che anelava alla possibilità di «andare in bicicletta dall’aeroporto a Palazzo Madama». Così, infatti, si presentò durante una diretta streaming in cui i neoparlamentari grillini, riunendosi tra loro per la prima volta, si presentavano all’Italia. E per dimostrare la validità delle sue posizioni, peraltro, Cotti la sfacchinata a due ruote da Fiumicino al centro di Roma la fece davvero.

Dalle meteore alle figure ben più significative, come Virginia Raggi, alla guida di quell’amministrazione capitolina che, ai tempi della fase due della pandemia, ha messo la testa su un progetto di 150 km di ciclabili in tutta Roma. Lo scopo? Promuovere la mobilità sostenibile anche per decongestionare il trasporto pubblico, favorendo il distanziamento sociale come forma di prevenzione al Covid. E chissà, magari far entrare nell’idea che è sempre meglio la fatica della bici rispetto al rischio di un bus in fiamme. Comunque, ad aprile, in pieno lockdown, la prima cittadina diceva: «Stiamo lavorando per realizzare rapidamente delle corsie ciclabili, stiamo pensando di dedicare a Roma le controlaterali delle strade grandi alla ciclabilità. Abbiamo chiesto al Governo di riaprire velocemente i negozi di biciclette».

In realtà, però, l’innamoramento del Campidoglio per la bicicletta non è cosa di oggi. Il predecessore di Virginia Raggi, il dem Ignazio Marino, fu fotografatissimo quando all’inizio del suo mandava si recava a lavoro pedalando. Era, anche in quel caso, la metafora di un obiettivo politico, ossia rendere la città sostenibile, pedonalizzata in molte zone, ovviamente «sostenibile». E nelle more di quella favola fu lanciato anche il progetto del Grab, Grande Raccordo anulare per le Biciclette, invocato anche dalle associazioni ambientaliste e dagli appassionati. Marino e l’allora ministro delle infrastrutture Graziano Delrio ne annunciarono la fattibilità «prima dell’inizio dell’anno giubilare». Ossia nel dicembre 2015. Il progetto è rimasto tale. O magari, mai disperare, l’anno giubilare sarà quello successivo.

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