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Ko alle regionali e vanno a casa. Zingaretti adesso ha paura

Riccardo Mazzoni
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Nell’imminenza delle regionali, Zingaretti sente traballare la sua poltrona di segretario e ha deciso di difendersi attaccando. Per questo ieri ha scritto di suo pugno su Repubblica una lunga articolessa per rivendicare le ragioni dell’alleanza strategica con i Cinque Stelle, che costituirebbe l’ultimo argine per non umiliare la politica con il ricorso a un nuovo «governo di tutti». Un ragionamento debole e contorto e un chiaro atto d’accusa nei confronti di chi, soprattutto dentro il suo partito Pd, rema invece contro nella convinzione che in un anno di governo rossogiallo il dividendo maggiore lo hanno incassato i grillini a scapito degli alleati. L’opposto, insomma, di quanto era accaduto ai tempi dell’alleanza M5S-Lega, quando Salvini in pochi mesi riuscì a dimezzare i voti del Movimento e a raddoppiare quelli della Lega.

Ma nella concitazione di quella che appare come l’ultima offensiva prima della resa dei conti, Zingaretti si è lasciato sfuggire un’ammissione tanto significativa quanto impegnativa, mettendo in guardia i suoi avversari interni ed esterni (Renzi in primis, ma anche Di Maio) dall’ipocrisia di chi sostiene che «perdendo le regionali si potrebbe continuare tutto come prima, senza riflessi sulla vita del governo e sulla durata della legislatura». Un avviso ai naviganti in piena regola, dunque, che non deve aver fatto piacere dalle parti di Palazzo Chigi, con Conte che si è rifugiato in un silenzio surreale per tenersi prudentemente fuori dalla partita elettorale nella speranza di non fare la stessa fine di D’Alema nel 2000, quando la sinistra perse il Lazio e lui si dimise coerentemente da presidente del consiglio.

 

Il caso ha voluto che proprio ieri il Sole 24 Ore abbia pubblicato un sondaggio del professor D’Alimonte che rivela come la Toscana sia diventata contendibile, essendo il distacco tra il candidato del centrosinistra Giani e la leghista Ceccardi ridotto ormai a mezzo punto (43% contro 42,5), il che significa dal punto di vista statistico una corsa alla pari. 
Già il 4-2 per il centrodestra previsto dai sondaggi, con la perdita di Marche e Puglia, darebbe uno scossone non indifferente agli equilibri della maggioranza, ma se cadesse anche la Toscana il terremoto sarebbe tale da far saltare davvero tutto per aria, nonostante la fragilità della coalizione di governo sia inversamente proporzionale all’attaccamento alle poltrone. E anche la scontata vittoria del sì al referendum sul taglio dei parlamentari porterà comunque sul balcone della vittoria soltanto Di Maio. Per Zingaretti si profila dunque una complicata partita elettorale-referendaria lost-lost.

C’è, purtroppo, una contingenza che va molto oltre le convulsioni di Zingaretti, le acrobazie di Renzi e il neopopulismo in doppiopetto di Di Maio: rispetto alle precedenti elezioni di medio termine l’Italia è sull’orlo del baratro, col Pil in picchiata storica, due milioni di disoccupati alle porte e il rischio di una caduta del rating a livello spazzatura, evocato ieri in Parlamento dal vicepresidente della Bei. Il governo dei misteri del Covid, dell’assistenzialismo perpetuo, dei navigator e dell’immigrazione senza controllo avrebbe il dovere di dimettersi anche prima del verdetto delle regionali, ma il segnale che arriverà dalle regionali sarà probabilmente decisivo. Lo ha riconosciuto perfino Zingaretti, anche se forse è stata solo una voce dal sen fuggita.
 

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