Un anno a scannarsi sui posti da viceministri
Il 14 agosto sono stati nominati ufficialmente cinque viceministri del governo Conte. Il 25 agosto altri tre. C’è voluto quasi un anno per raggiungere l’accordo nella maggioranza e assegnare le deleghe agli otto esponenti dell’esecutivo (nove, se si considera il trasloco di un sottosegretario da un ministero all’altro), dando il via libera alle «promozioni».
Ieri l’annuncio a Montecitorio: «In data 14 agosto 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera: “Onorevole Presidente, informo la S.V. che, con decreti del Presidente della Repubblica in data odierna, adottati su mia proposta, previa approvazione da parte del Consiglio dei ministri, a norma dell’articolo 10, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle rispettive deleghe di funzioni conferite dai Ministri dell’Interno, dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e dei trasporti e della Salute, è stato attribuito il titolo di Vice Ministro ai sottosegretari di Stato presso i medesimi Dicasteri, senatore Vito Claudio Crimi, onorevole dottor Matteo Mauri, onorevole dottor Stefano Buffagni, signor Giovanni Carlo Cancelleri, e senatore professor Pierpaolo Sileri. Con viva cordialità, firmato: Giuseppe Conte». È stata comunicata la nomina a sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca di Giuseppe De Cristofaro, con la cessazione contestuale dalla carica di sottosegretario per l’Istruzione. Sempre ieri la presidenza della Camera ha reso noto il via libera alle deleghe di viceministro agli Esteri ai sottosegretari Emanuela Claudia Del Re e Marina Sereni e all’Istruzione ad Anna Ascani.
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Una partita complicata, per certi versi surreale. Prendiamo il caso del viceministro Pierpaolo Sileri, medico e professore all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È stato nominato sottosegretario al ministero della Sanità il 16 settembre 2019 ma le deleghe sono arrivate il 23 maggio, otto mesi dopo. Quelle da viceministro (era stato indicato sempre a settembre dell’anno scorso) le ha avute, invece, come detto, il 14 agosto (approvate nel Consiglio dei ministri del 7 agosto). Dunque, in tutto, nove mesi dopo. Peraltro in piena emergenza Covid. Il risiko tra Pd, M5S, Leu e Iv è stato inesorabile anche in tutte le altre «caselle». All’inizio sulla delega al commercio estero s’è consumato lo scontro fra renziani e grillini: Manlio Di Stefano l’ha spuntata su Ivan Scalfarotto. Al ministero dello Sviluppo economico sembrava tutto più semplice eppure le deleghe del viceministro Stefano Buffagni sono rimaste bloccate fino a Ferragosto scorso (sempre dal 16 settembre 2019) perché Pd e M5S non trovavano l’intesa al dicastero delle Infrastrutture e Trasporti sulle competenze che il ministro Paola de Micheli doveva assegnare al vice Giancarlo Cancelleri. E se ha destato parecchie fibrillazioni anche la delega ai Vigili del fuoco per i viceministri all’Interno, non sono mancate scintille per quella alla Rai, che dipende dal ministero dello Sviluppo economico guidato da Stefano Patuanelli. Alla fine, l’esponente dei 5 Stelle ha deciso di tenerla per sé mentre sono state affidate Telecomunicazioni, politiche sul digitale, tecnologie emergenti e radio-tv alla sottosegretaria, in quota M5S, Mirella Liuzzi (perché il Pd aveva avuto l’Editoria) e Pmi, banda ultralarga, made in Italy, aerospazio e trasferimento tecnologico al sottosegretario, in quota dem, Gianpaolo Manzella. Un lungo domino di incarichi e competenze intrecciati tra loro, capace di tenere in stallo il governo. Anche stavolta l’equilibrio nella maggioranza è stato raggiunto. Ma chissà per quanto.