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Regaliamo soldi a chi vuole la sharia

Souad Sbai *
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Vi ricordate la favola di Pinocchio e i due personaggi inventati da Collodi: un gatto imbroglione che fa finta di essere cieco per colpa dello studio, ed una volpe che per lo stesso motivo zoppica? Con l’intervento dei due fenomeni in gita tunisina (i ministri degli Esteri e dell’Interno Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese) forniti di merenda al sacco e undici milioni di euro nascosti nei panini, è il caso di aggiornare per l’occasione la fiaba di antica memoria. Siamo di fronte a due gatti dalla vista disastrata – non certo per un eccesso di studio e di preparazione – e nessuna volpe che possa intercedere per loro con la sua notoria astuzia.

 

 

 

Questi due fenomeni consegnano al governo di Tunisi, e specificamente negli artigli di Kaïs Saïed, presidente della Repubblica, e di Rachid Ghannouchi, leader dei Fratelli musulmani e presidente della Camera dei Deputati, un malloppo consistente quasi per pagare un ricatto: soldi in cambio di blocco delle operazioni di imbarco di uomini vigorosi alla conquista dell’Italia. Uomini, tutti uomini quelli che sbarcano. E le donne? E le donne, combattenti a difesa dei diritti conquistati e riconosciuti dalla politica democratica e di apertura dei decenni passati, in mano a questi personaggi i quali, come denuncia in anteprima Le Monde, pretendono il ritorno alla lettura testuale e convenzionale del Corano con l’obiettivo di sopprimere il trattamento egualitario civile e penale tra uomini e donne e l’applicazione rigorosa e fondamentalista. Trattasi di una beffa bella e buona, considerando che il presidente ha reso noti i suoi propositi nel giorno, il 13 agosto, dell’anniversario del Codice dello statuto personale, rivoluzionario e unico nel mondo arabo all’epoca della sua promulgazione perché eliminava tutte quelle pratiche arcaiche che svalutavano le donne. Tale ricorrenza, che le donne tunisine festeggiano alla stregua dell’8 marzo, è anche occasione per il Capo di Stato di fare il punto sulla condizione femminile e proporre progressi in materia, ma il discorso tenuto il 13 agosto scorso segnala una regressione alla quale le tunisine non erano più abituate dai loro governanti. Finanziare in maniera sconsiderata questo regime, senza la minima posizione di intransigenza sulla questione dei diritti umani, incluso ad esempio il diritto ereditario, significa tacitamente – e vergognosamente – avvallare una politica segregazionista e punitiva nei confronti delle donne.

Il fatto losco, equivoco è che con questa operazione si rischia di supportare in modo subdolo e sottotraccia un ritorno delle donne ad una lontana, ma non dimenticata, condizione di sudditanza e di inferiorità. Significa la riduzione del ruolo della donna in ambito familiare e societario a oggetto di controllo, a proprietà maschile, ad entità addomesticata e mansueta. Questi fallimentari rappresentanti italici avrebbero dovuto conoscere questa trappola, avrebbero dovuto ricattare loro i rappresentanti tunisini proprio a difesa di quelle donne che sono state le protagoniste del cambiamento politico della Tunisia. Anche questa volta dovranno essere loro le protagoniste della resistenza, mentre gli uomini le abbandonano in cerca della libertà in questo Occidente ormai rassegnato e complice. 

* Presidente acmid Donna e difesa dei diritti delle donne mussulmane

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