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Resa dei conti nei 5Stelle. Spadafora fa l'offeso, tutti contro tutti

Dario Borriello
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La bomba è esplosa. Le dimissioni di Vincenzo Spadafora, messe sul piatto (e congelate) in un incontro di buon mattino con il premier, Giuseppe Conte, dopo le polemiche scatenate dalla lettera del direttivo della Camera che chiedeva lo stop alla riforma dello sport, sono l'ultimo capitolo di una guerra interna che sta mettendo a rischio la tenuta delle truppe. Soprattutto a Montecitorio, dove il board è ad un passo dalla conclusione anticipata. Per volontà dei colleghi, già innervositi da come sono stati condotti i negoziati per il rinnovo delle commissioni, e ora addirittura infuriati per l'uscita sul ministro dello Sport, tra l'altro uno degli ufficiali di collegamento col Pd. Già diverse ore prima della «congiunta» di ieri sera molti deputati si sono lasciati andare a giudizi sprezzanti: «Per colpa di questi geni del direttivo, rischiamo di andare a casa tutti».

 

Il punto centrale non sono le troppe «concessioni» all'arciodiato Giovanni Malagò, cui la riforma (partorita dall'ex sottosegretario leghi sta Giancarlo Giorgetti, poi rimaneggiata da Spadafora) concede la possibilità di un terzo mandato. Su quello il disappunto è quasi unanime. I parlamentari non riescono a trovare una spiegazione logica alla mossa di mettere in discussione l'operato di un proprio ministro in un momento di grande difficoltà negli equilibri di maggioranza, per giunta facendo filtrare all'esterno una lettera che, di fatto, impone una sola strada: il passo indietro. «Ma come si fa a mandare una roba del genere?», si domanda più di un portavoce «di peso». Per il principio che «i panni sporchi si lavano in famiglia», la protesta doveva avere toni e modi totalmente differenti. E il fatto che la vicenda sia finita sulla bocca di tutti, e «peggio ancora in pasto ai media», allora vuol dire solo una cosa: «Totale inadeguatezza del diretti vo». Oltretutto, in questo «pasticciaccio» - come lo definiscono nel mondo Cinquestelle - c'entrano poco i giochi delle correnti tra «dibattistiani» (a proposito, è nato il secondogenito di Dibba, Filippo), «dimaiani» o «contiani». In ballo ci sono gli equilibri del primo partito in Parlamento. E a cascata la tenuta della stessa maggioranza...

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