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Paragone smaschera le verità schermate del governo Conte-Casalino

Giuseppe Conte e Rocco Casalino

Gianluigi Paragone
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Il Tempo è stato uno dei pochi giornali ad aver posto all’attenzione la decisione di un giudice di pace non solo contro i superpoteri del premier Conte, ma anche sulle contraddizioni dei vari dpcm. Per il resto su quell’atto di resistenza è stata inserita la sordina mediatica, perché certe cose è maglio non farle sapere. Meglio non raccontare che nessun potere speciale può essere costruito in virtù di una autoproclamazione cui segue il bacio della pantofola della maggioranza ormai ridotta al ruolo di cameriere.

Negli anni delle crisi bancarie non si doveva far conoscere l’inganno dell’anatocismo, l’inganno delle sofferenze bancarie e degli npl, l’inganno delle operazioni baciate: fintanto che qualche avvocato testa dura ha fatto causa e ha vinto. Qui è la stessa dinamica: un giudice di pace - nessuna risatina visto che i dpcm sono atti meramente amministrativi - ha dato ragione a un avvocato il quale difendeva il diritto di un cittadino multato per non aver rispettato l’ordine di starsene a casa. Invece di rassegnarsi a un colossale autodafé, il cittadino ha fatto valere i suoi diritti e si è opposto.

Non so se sarà un precedente ma so che altri piccoli Davide troveranno una pietra da scagliare contro le ingiustizie e l’arroganza di Golia. Il governo Conte tra stato di emergenza, secretazione dei documenti e delle relazioni, decisioni prese segretamente tra Villa Pamphili e Palazzo Chigi, si sta attrezzando per uno strano presidenzialismo all’amatriciana. Ripeto, io non so se la decisione di quel giudice di pace bucherà la frenesia di Conte e dei suoi sodali ma so che ne farà emergere l’arroganza. Sotto ogni punto di vista.

 

Sull’urgenza Covid e sull’ambito di potere che l’emergenza attribuirebbe non è dato sapere visto che hanno posto il segreto. Lo stesso vale per esempio sulla reale portata del fondo Recovery, narrato come una bocca di fuoco monetario quando - nei fatti - ha una gittata assai modesta se la si (ri)calcola al netto delle contribuzioni che il governo deve al finanziamento del fondo stesso. O del “saldo” politico dove in cambio di 4,2 miliardi netti all’anno conferiamo ai mercati il potere di ricattarci con le solite riforme strutturali e attribuiamo loro lo status di creditore senior. E potremmo proseguire sullo scandalo della transazione di Atlantia/Benetton o su Arcelor Mittal/Ilva o ancora su soldi regalati ad Alitalia (che fa e disfa i voli a suo piacimento, in barba al contributo pubblico con cui la manteniamo in vita) o sul mancato rimborso dei risparmiatori truffati. 

Insomma, la verità o viene nascosta segretando le informazioni oppure viene distorta grazie alla compiacenza di televisioni e giornali. Nulla di nuovo, certo, se non fosse che uno dei due principali partiti voleva cambiare il mondo al grido di trasparenza e onestà.

La domanda, dunque, è una: fino a quando gli italiani saranno chiusi in questa specie di bolla dove il paternalismo si mischia alla furbizia della premiata ditta Conte-Casalino? Non è possibile che il parlamento sia utilizzato come una succursale notarile di Palazzo Chigi o di Bruxelles; né è tollerabile proseguire oltre con le bolle governative. Ogni questione delicata viene secretata o viene avvolta dall’emergenzialità. Fuori da questi pericolosi giochetti l’economia reale va a fondo, la disoccupazione cresce e nel Mediterraneo sbarcano indisturbati tra una corbelleria ora della Lamorgese ora di Di Maio, le cui stelle da sceriffo valgono meno di quelle che si usano a carnevale.

 

Ieri, il vecchio Enrico Ruggeri - artista mai scontato - ha graffiato da rocker: Una provocazione intrisa di quella verità su cui il Rrouge aveva già indagato in una canzone. “Quante sere ho consumato a tempestarmi di domande...” finendo con ammettere che “la verità è che noi non abbiamo mai verità”. Nemmeno quelle ufficiali di Giuseppi e di Rocco.
 

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