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Lockdown, il giudice smonta Conte: è un abuso

Francesco Storace
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C’è un giudice (di pace) a Frosinone. Lo scorso 15 luglio, ma si è saputo solo nelle ultime ore, si sono affermati con nettezza i confini dell’azione di governo nella gestione della pandemia. Il lockdown inteso come reclusione obbligatoria degli italiani è un abuso, le sanzioni una prepotenza e lo stesso stato di emergenza è ben oltre i limiti fissati dalla Costituzione.

Sarà pure solamente un giudice di pace il dottor Emilio Manganiello, ma la sua decisione – per ora riguardante un solo ricorso a Frosinone contro una sanzione amministrativa legata ai dpcm di Conte – non può certo lasciare insensibile il legislatore. Se il premier dovesse avere ancora intenzione di lasciarci di nuovo dentro le mura di casa, ci sarebbero argomenti consistenti per rovesciare ogni prepotenza istituzionale.

Leggi la sentenza sul lockdown: "La libertà personale è inviolabile"


L’11 aprile il signor C.C. veniva multato in terra ciociara. Aveva violato l’obbligo di restare in casa vigente a quel tempo. Con il suo avvocato, Giuseppe Cosimato, ha presentato un ricorso giudicato fondato e non dovrà pagare la sanzione.

A meno che la prefettura - contumace all’udienza - non faccia ricorso per conto del governo, la sentenza potrebbe fare scuola. Il ricorso con le motivazioni proposte dall’avvocato Cosimato è stato accolto e il giudice di pace si è anche risparmiato la Corte Costituzionale perché né la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio sullo stato di emergenza, né la raffica di Dpcm varati in solitaria da Conte, sono leggi. Sono semplicemente atti amministrativi e il giudice può disapplicarli.

Motivo? In nessuna parte della Costituzione esiste lo stato di emergenza come potere conferito al governo per motivi sanitari. Ci si può ricorrere solo per terremoti, incendi, alluvioni, valanghe. Oppure, per inquinamento. Né tantomeno può farlo da solo il presidente del Consiglio dei ministri. 

Osserva il distratto: va bene, ma poi hanno sanato tutto con il decreto legge che ha assorbito lo stato d’emergenza e i dpcm che infatti si sono impegnati a non tirare più fuori dai cassetti di Conte.

Ma la decisione del giudice di pace va oltre e riguarda un fodnamento della Costituzione che sta all’articolo 13 della Carta. «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria». 

Ne discende che il governo ha abusato dei suoi poteri. E non è certo un decreto legge che può sostituire il giudice nel costringere gli italiani a restare rinchiusi in casa. Lo può decidere, appunto, solo un «atto motivato dell'autorità giudiziaria».

Per ora, quella multa nel frusinate da non pagare è l’unica conseguenza pratica, anche perché fu comminata prima delle «sanatorie» per decreto. Ma se dovesse essere presentato un ricorso avverso la decisione del dottor Manganiello, esso avrebbe sede in tribunale. E se qualcuno dovesse eccepire la questione di costituzionalità, ne vedremmo delle belle di fronte a quelle appaiono come inoppugnabili considerazioni del giudice interpellato.

Quando il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, ha fatto riferimento a norme che non lo prevedono per motivi di ordine sanitario. Che non potevano autorizzarlo proprio perché la Costituzione è chiara in proposito. Così come nessuna legge potrà mai dare al premier il potere di non far uscire di casa i cittadini. La libertà di circolazione - scrive il giudice - «non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché, ad esempio, pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone, allora la limitazione si configura come limitazione della libertà personale».

E spiega ancora meglio più avanti: «Nell’ordinamento giuridico italiano, l’ordine di rimanere nella propria abitazione non può essere imposto dal legislatore, ma solo dall’autorità giudiziaria con atto motivato».

Altrimenti, ci si muove nel solco delle misure adottate «in Stati non democratici, come la Cina». Che hanno «un ordinamento costituzionale autoritario giuridicamente incompatibile con il nostro ordinamento costituzionale, fondato su garanzie individuali inviolabili, ignote agli ordinamenti autoritari, e agli esperti sanitari di quei paesi e del nostro, in quanto non competenti in diritto costituzionale».

Se a tutto questo aggiungiamo il segreto di Stato opposto da Conte persino ai verbali delle riunioni del Comitato tecnico scientifico a cui si riferiva per i suoi decreti personali e illegittimi, c’è abbondante materiale per sollecitare un pronunciamento chiaro e definitivo nello stesso Parlamento. Qui in gioco non c’è più lo sfrenato esibizionismo del premier, ma i diritti di ciascun cittadino che sono scolpiti nella Carta Costituzionale. Lo stesso articolo 32 sul diritto alla salute e al massimo può obbligare un trattamento sanitario. Non gli arresti domiciliari.

 

 

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