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Conte rende ancora più ricco Benetton

Il governo non revoca la concessione. Atlantia vola in Borsa e fa guadagnare 805 milioni all'imprenditore. Su anche gli altri titoli del gruppo. Beffa sul risarcimento: i 3,4 miliardi previsti non sono a carico della famiglia

Franco Bechis
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Alle 5,16 di ieri mattina Giuseppe Conte ha chiuso i lavori del consiglio dei ministri tirando fuori la sua soluzione per il caso Autostrade, che non è stata quella revoca della concessione annunciata il giorno prima dallo stesso premier in un’intervista a Marco Travaglio. Pochi minuti dopo l’intera famiglia Benetton capeggiata da Luciano si è immaginata sul famoso balcone di palazzo Chigi a festeggiare come fece Luigi Di Maio «l’abolizione della povertà». Quella dei Benetton, naturalmente. Che infatti dodici ore dopo l’annuncio di quell’accordo si sono trovati più ricchi di 805 milioni di euro rispetto alla sera precedente. Grazie alla decisione del consiglio dei ministri infatti il titolo Atlantia è impazzito in borsa aumentando del 26,65% in poche ore, e mettendo in tasca alla sola famiglia Benetton 768,9 milioni di euro. L’euforia era tale che ha coinvolto tutti i titoli quotati da loro partecipati, schizzati in alto. Con Autogrill Luciano e famiglia sono diventati più ricchi di 29,8 milioni di euro. Con Generali si sono messi in tasca altri 6,2 milioni e pure Mediobanca li ha arricchiti di 186 mila euro.

 

Champagne, dunque per i Benetton. Di quello vero, perché al governo e alla sua maggioranza è restato da stappare solo quello fasullo degli slogan e delle dichiarazioni altisonanti, a meno che qualcuno di loro abbia personalmente goduto della grande occasione di aggiotaggio provocata dalla intervista (con dichiarazioni false su un titolo quotato in borsa) di Conte al Fatto quotidiano e la successiva e diametralmente opposta scelta fatta dal consiglio dei ministri in piena notte.

 

Dunque dopo quasi due anni di manfrina né il premier, né il Movimento 5 stelle hanno deciso quella revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi) più volte annunciata provocando scossoni in borsa. Nella notte di palazzo Chigi è stata prima rifiutata la proposta dei Benetton di vendere l’intera partecipazione in Aspi alla Cassa depositi e prestiti (Cdp) e poi approvato un piano che prevede la lenta progressiva uscita di Atlantia – società controllata dai Benetton- dal capitale di Aspi a favore della stessa Cdp e di nuovi investitori istituzionali. Quel piano era stato per altro studiato all’interno della stessa Cdp e presentato al governo già nell’autunno 2018, ma subito accantonato per l’opposizione della delegazione governativa del M5s che temeva in quel modo di perdere la faccia perché non si revocava la concessione come promesso. Anche se fin da quella data alcuni esponenti grillini come il saggio Stefano Buffagni invitavano a vederne meglio i particolari.

A quasi due anni dalla proposta nel cuore della notte il governo Conte ha trovato un’intesa su quella proposta, facendo perdere però tempo e miliardi sul mercato a mezza Italia.

Che cosa accadrà ora? Verrà in tempi più o meno brevi scissa da Atlantia la partecipazione nella società Autostrade, che verrà inserita in una nuova società che in partenza avrà gli stessi azionisti attuali. A quel punto verrà varato dall’assemblea un aumento di capitale riservato a Cdp, che entrerà in parte convertendo in azioni della nuova società il miliardo di euro circa di crediti che vanta nei confronti della società Autostrade. In questa fase la partecipazione di Atlantia e quindi dei Benetton si diluirà, ma resterà ancora di controllo almeno relativo. Ci sarà quindi un secondo passaggio previsto dall’intesa secondo cui i Benetton e Atlantia dovranno scendere sotto il controllo cedendo le proprie quote a investitori istituzionali italiani ed esteri che abbiano il gradimento di Cdp.

 

Circola già in proposito l’interesse del fondo americano Blackstone, ma i tempi per queste scelte non saranno immediati. Infine l’ultimo passaggio: la nuova società Autostrade con questi azionisti diffusi e una presenza rilevante di Cdp chiederà la quotazione a piazza Affari, probabilmente diluendo in quel modo la quota pubblica e consentendo la definitiva uscita dei Benetton al prezzo dell’offerta pubblica che dovrà essere lanciata. Ci vorrà però molto tempo (anche anni) e dovranno esserci le condizioni di mercato favorevoli per l’ultimo passaggio.

La revoca della concessione rischiava invece di mandare in default l’intero gruppo Atlantia, perché sarebbero scattate condizioni previste dai contratti sui derivati che lo avrebbero imposto in caso di stabile discesa del valore delle azioni sotto un certo livello di prezzo (rischio ben evidente nel marzo scorso). Questa pace firmata con il governo allontana per sempre quella scure minacciosa dal capo di Atlantia e della famiglia Benetton consentendo come è accaduto ieri di recuperare ricchezza e molta del terreno perduto in borsa in questi due anni. Nel comunicato del governo sono citate anche «misure compensative ad esclusivo carico di Aspi per il complessivo importo di 3,4 miliardi di euro», e dovrebbe essere questo il vero risarcimento imposto ai Benetton per la caduta del ponte Morandi. La somma non è chiara, perché non viene indicato se comprende il già previsto (e in parte erogato) pagamento degli oneri per demolizione e ricostruzione del ponte per un totale di 600 milioni di euro. Ma l’onere ricade tutto su Aspi, non su Atlantia e quindi non sui Benetton. Come si evince dal suo bilancio consolidato 2019 approvato a giugno, il gruppo Autostrade aveva già aumentato il suo fondo rischi aggiungendo a questo scopo un miliardo e 521 milioni di euro che ovviamente verrebbero ammortizzati in più anni. Quindi in sostanza quella somma e l’eventuale aggiuntiva fino ad arrivare al calcolo dei 3,4 miliardi di euro previsti dall’accordo peserebbero solo in parte sulle spalle dei Benetton, e verrebbero di fatto pagate anche dai nuovi azionisti e soprattutto peserebbero su Cdp che secondo il governo dovrebbe entrare nel capitale in tempi quasi immediati.

Morale della storia: alla fine i Benetton recupereranno miliardi di valore sul mercato e miliardi cash cedendo la propria partecipazione nei vari passaggi, e quasi non pagheranno pegno per la caduta del Ponte Morandi perché lo Stato con questa scelta multerà in gran parte se stesso e renderà più stringente la concessione riducendo la redditività a se stesso, stringendo pure sulle tariffe che dovrebbe incassare proprio lo Stato. Miliardi di euro in tasca ai Benetton e quasi tutti i danni pagati invece dalle nostre tasche. Un vero capolavoro.
 

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