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Piovono task force: anche Gualtieri se ne fa una. La sola economia che Conte fa girare

Franco Bechis
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Durante la crisi da coronavirus il governo guidato da Giuseppe Conte ha nominato una ventina di task force per affiancarlo sia sulla emergenza sanitaria che su quella economica. Un piccolo esercito di quasi 500 tecnici consulenti. Nello stesso periodo ne sono nate altrettante a livello locale per affiancare soprattutto i presidenti delle Regioni. Open Polis a fine aprile aveva contato oltre 1.400 consulenti divisi fra miriade di grandi e piccole task force. Qualcuna nel frattempo è cresciuta di componenti femminili, come quella guidata da Vittorio Colao, ma ha esaurito la sua funzione con la compilazione di un piano che nel giro di pochi minuti è stato buttato nel cestino. Come se non bastasse questa pioggia di consulenti che sono diventati status symbol del ministro o amministratore di turno, ecco nascere un'altra task force negli emendamenti di maggioranza del decreto rilancio. 

Ne beneficerà il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, a cui il Pd vuole assegnare per la bisogna 100 mila euro nei sei mesi che restano del 2020 e 200 mila euro a pieno regime nel 2021. Dovrebbe riunire esperti di finanza di progetto per assistere il Mef nel loro monitoraggio nel rispetto del patto di stabilità europeo (che per altro almeno per quest’anno risulta sospeso). 

 

In mesi in cui migliaia di aziende e altrettante partite Iva hanno chiuso i battenti di fronte alla impossibilità di andare avanti nelle condizioni in cui venivano poste, il governo Conte con la sua maggioranza ha provato a compensare la caduta facendo lievitare gli eserciti di consulenti pubblici in modo che non sia era mai visto nella pure ricca storia repubblicana. Per altro a vedere i risultati prodotti fin qui al massimo si è colta la loro irrilevanza, quando non un vero e proprio danno che siano riusciti ad apportare alla già confusa e inefficace attività legislativa dell’esecutivo. Ma aggiungerne una al Ministero dell'Economia è davvero grottesco. Possibile che il problema (che appunto oggi non c'è, essendo fermo il patto di stabilità) non possa essere affrontato pescando fra i 34 dirigenti di prima fascia e i 458 di seconda fascia che risultano oggi agli ordini di Gualtieri? Sono tutti così ignari della finanza di progetto? E non si può magari chiedere di dare un’occhiata quando si presenterà l’occasione a qualcuno dei 109 membri di comitati, commissioni e organismi vari alle dirette dipendenze del ministero (ce ne sono altri ben più copiosi che assistono nelle decisioni singoli dipartimenti o le agenzie che un tempo erano parte del ministero)? All’Economia oggi oltre a comitati istituzionali e antichi come Cicr e Cipe, c’è gia un «Comitato per gli indicatori di benessere equo e sostenibile», composto da 5 membri fra cui svetta il nome dell’ex presidente Istat ed ex ministro (governo Enrico Letta), Enrico Giovannini. Sempre lui presiede anche la «Commissione per la redazione della Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva» che conta 15 esperti nelle sue fila. Ma nell’organigramma di quello che fu il ministero del Tesoro figurano pure il «Comitato permanente di consulenza globale e di garanzia per le privatizzazioni» ( 5 esperti), il «Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria» (11), il «Comitato per i principi contabili» (23), il «Comitato permanente per il coordinamento delle attività in materia di finanza pubblica» (7), il «Comitato permanente di indirizzo e coordinamento della fiscalità» (10), la «Commissione per la redazione del rapporto annuale sulle spese fiscali» (14), la «Commissione tecnica per i fabbisogni standard» (11) e infine anche l’«Organismo Indipendente di Valutazione della performance», composto da un presidente di collegio pagato 40mila euro e di due membri che costano invece la metà di quella somma. Si sentiva proprio il bisogno impellente di una nuova task force.

 

 

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